Prostitute senza contratto

mercoledì 24 settembre 2025


Belgio, ancora poche le lavoratrici del sesso con protezione sociale

La burocrazia fa male al piacere. Anche quello a pagamento. La legge belga, l’unica per ora al mondo, che riconosce il diritto a operatori e operatrici del sesso di avere un contratto di lavoro, sta avendo ancora pochi riscontri. Approvato dal Parlamento a maggio 2024, due anni dopo la depenalizzazione della prostituzione, e in vigore dallo scorso 1° dicembre, il provvedimento è stato ideato dall’allora ministro socialista dell’Economia e del Lavoro Pierre-Yves Dermagne. Con l’obiettivo di consentire ai lavoratori del settore di accedere alla protezione sociale, cioè all’assicurazione sanitaria e di invalidità e anche all’indennità di disoccupazione. E ai datori di soddisfare determinate condizioni, come fornire un estratto del casellario giudiziale e avere la sede legale o l’indirizzo commerciale in Belgio, avendo però il dovere di garantire il rispetto delle quattro libertà fondamentali riconosciute alle prostitute: diritto di rifiutare un partner sessuale, rifiutare determinate pratiche sessuali, interrompere o terminare l’attività e anche il diritto di imporre le proprie condizioni all’attività sessuale. La legge intende, inoltre, contribuire a proteggere meglio le donne dagli abusi legati alla tratta di esseri umani e alle reti criminali di contrabbando, e riconosce le malattie sessualmente trasmissibili come malattie professionali per gli operatori regolarmente registrati.

Al netto di tutto ciò, la realtà racconta di un percorso più complicato del previsto, come evidenzia un report della Radio-Télévision Belge de la Communauté Française. “Adesso abbiamo uno status”, dicono le lavoratrici del sesso, “prima dovevamo pagare le tasse e registrarci, ma senza essere riconosciute”. L’impatto, tuttavia, resta molto limitato, perché sono davvero poche le operatrici che hanno un contratto formale. Il motivo principale è la riluttanza delle aziende specializzate a richiedere l’autorizzazione per assumere. A oggi, fa sapere il servizio pubblico federale del lavoro, Spf Emploi, solo un’azienda è stata autorizzata. Delle 11 domande ricevute, appena quattro sono state ritenute positive. Tre nuove autorizzazioni sono state recentemente sottoposte alla firma dei due ministri competenti e saranno pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale belga nelle prossime settimane. Si dice che solo una manciata di persone abbia ricevuto i primi “contratti di prostituzione” in un bar della regione di Namur, conferma alla Rtbf Isabelle Jaramillo, coordinatrice dell’organizzazione no-profit Espace P. Secondo la quale, se legge è stata accolta piuttosto bene, gli “aspetti attuativi e amministrativi sembrano essere al momento piuttosto complessi”.

Questione di burocrazia, dunque. Secondo l’associazione Isala, che dal 2013 assiste le prostitute, è il segnale che la legge in realtà non risponde adeguatamente alle sfide poste dal mestiere più antico del mondo. Gli “stessi sfruttatori non sembrano interessati”, rileva la direttrice Mireia Crespo. E anche tra le operatrici il disinteresse è evidenziato dai numeri: “Nessuna tra le nostre assistite ha chiesto di lavorare con il nuovo statuto”. Parlare di fallimento della legge è ancora prematuro. È evidente la difficoltà, secondo le associazioni coinvolte, di acquisire la prospettiva necessaria per vedere come le prostitute stiano cogliendo questa opportunità per accedere ai diritti fondamentali e lavorare in condizioni migliori. Il cambiamento sarà lento. Nessuno si aspettava, dunque, la fila agli sportelli. Il sesso a pagamento, si fa notare, è sempre stato tollerato senza alcuna certezza del suo diritto di esistere. Ciò significa che non esiste ancora un rapporto di fiducia tra i gestori degli esercizi e lo Stato. E questo richiederà tempo.

Sei mesi fa, Isala e altre 8 associazioni belghe hanno chiesto l’annullamento della legge alla Corte costituzionale come “passo necessario” per aprire un confronto sui suoi contenuti. Il provvedimento, spiegano le 9 organizzazioni, rappresenta un “chiaro passo indietro” per i diritti delle donne e legittima il loro sfruttamento sessuale da parte di “clienti” e “ruffiani”, senza porre fine alla “violenza insita in questa professione”. Questo “lavoro”, scrivono le associazioni, prevede condizioni così inaccettabili che il famigerato contratto è pieno di eccezioni. Chi firma questo contratto può, solo in teoria, rifiutare un cliente o interrompere l’attività sessuale in qualsiasi momento. “Bisogna, infatti, ignorare completamente la logica dei bordelli – si osserva – dove il cliente è il re, dove lo sfruttatore è spesso coinvolto in frodi e corruzione, per credere anche solo per un secondo che donne vulnerabili, strangolate dalla precarietà, abbiano l’autorità di esigere il rispetto del diritto del lavoro”. Scontentare il cliente significa, allora scontentare il capo”.

E per loro, “rischiare sarà pericoloso, a volte fatale”. Ecco perché, la legge belga ha dovuto prevedere espressamente l’installazione di pulsanti di emergenza” che consentano alla lavoratrice di chiamare aiuto. Con il pretesto di una generosa offerta agli interessati, sostengono le organizzazioni, “si sta stendendo il tappeto rosso per protettori e trafficanti”. Perché “se esiste una professione, saranno invitati a trovare volontari, con ogni mezzo necessario, dall’inesauribile bacino di donne straniere, che siano migranti o rese vulnerabili da incesto, stupro e violenza di ogni tipo”. Questa legge, si chiedono, è una prima mondiale esaltata dalla stampa di tutto il mondo come una grande conquista di civiltà o è “l’ennesima consacrazione dei diritti sessuali del maschio?”.


di Pierpaolo Arzilla