mercoledì 10 settembre 2025
Dopo la misteriosa morte di Evgenij Prigožin, noto come “lo chef di Putin” e per anni dominatore incontrastato del mercato della ristorazione militare, il gigantesco business della fornitura di cibo all’esercito russo non si è interrotto neppure per un giorno. È semplicemente passato nelle mani di una nuova società, la Rbe, guidata dall’imprenditore di Samara Andrei Šokin. A un primo sguardo potrebbe sembrare un ricambio naturale, un normale avvicendamento di fornitori in un settore miliardario. Ma scavando più a fondo appare evidente che si tratta dell’ennesimo gioco di palazzo, un giro di valzer che conferma come in Russia la ricchezza e il potere non si conquistino per merito o capacità, ma solo grazie alle giuste conoscenze e a una fedeltà cieca al Cremlino. Rbe non è un nome qualsiasi: tra il 2010 e il 2012 era già stata uno dei principali fornitori del Ministero della Difesa, con contratti che fruttavano circa 30 miliardi di rubli l’anno. Poi arrivò Prigožin, che grazie alla protezione diretta di Putin estromise gli avversari e impose le proprie aziende in ogni segmento delle forniture militari, dalla ristorazione alle uniformi.
Per oltre un decennio, nessuno poteva avvicinarsi a quel mercato senza l’autorizzazione del “cuoco dello zar”. Ma quando Prigožin si ribellò, con la marcia su Mosca del giugno 2023, e pochi mesi dopo fu eliminato nell’esplosione del suo jet privato, lo spazio rimasto libero venne subito occupato da Šokin. Una coincidenza troppo comoda per sembrare casuale: il Cremlino ha semplicemente sostituito un uomo fidato con un altro, ripristinando gli equilibri interni e continuando a garantire che miliardi di fondi pubblici finissero nelle tasche degli amici di Vladimir Putin. La rete che sorregge Šokin è complessa e popolata da figure di primo piano dell’oligarchia russa. Indagini giornalistiche hanno mostrato legami diretti con Andrei Bokarev, miliardario costruitosi un impero nelle materie prime e poi entrato nel settore della difesa. Bokarev non è un imprenditore qualsiasi: è un uomo di sistema, legato all’ex ministro della Difesa Sergej Šoigu e soprattutto a Sergej Čemezov, capo di Rostec e amico personale di Putin fin dai tempi del Kgb a Dresda. Tramite società di comodo, Bokarev ha posseduto quote di Rbe fino al 2023, salvo cederle formalmente a prestanome quando la pressione internazionale e le sanzioni lo hanno costretto a muoversi nell’ombra.
In realtà, però, la catena di controllo è rimasta intatta, e gli uomini di Bokarev continuano a essere parte integrante della governance occulta della società. Accanto a loro compaiono altre famiglie potenti, come i Rotenberg, i “fratelli del Cremlino”, già arricchitisi con le grandi opere olimpiche di Sochi e con le infrastrutture energetiche. Siman Povarenkin, legato proprio a quel clan, ha acquisito partecipazioni significative in Rbe e in altre aziende correlate, rafforzando la rete di influenza attorno alla nuova regina del catering militare. In questo modo, la società di Šokin è diventata il punto di convergenza di interessi che spaziano dall’industria bellica alle costruzioni, dalle ferrovie alle materie prime, in un mosaico che mostra la natura profondamente mafiosa dell’economia russa: tutto è interconnesso, e tutto serve a garantire rendite sicure a chi appartiene alla cerchia giusta. Non manca neppure il tocco propagandistico. Alcuni soci e prestanome coinvolti nell’ascesa di Rbe risultano collegati al mondo dei media di regime, in particolare alla produzione dei talk show di Vladimir Soloviov, il più fedele megafono televisivo del Cremlino. Anche in questo caso, la commistione è evidente: la macchina militare e quella propagandistica non sono separate, ma si alimentano a vicenda. Chi controlla i contratti per sfamare i soldati partecipa anche alla costruzione della narrativa che giustifica la guerra e l’autoritarismo di Putin.
Il contesto in cui tutto ciò avviene è altrettanto eloquente. Nel giugno 2023, subito dopo la marcia su Mosca, Putin dichiarò pubblicamente che le aziende di Prigožin avevano guadagnato 80 miliardi di rubli in un anno solo per la fornitura di cibo all’esercito. Con il suo consueto tono beffardo aggiunse di sperare che nessuno avesse rubato, o almeno che avesse rubato “meno del solito”. Una frase che suona come una confessione e allo stesso tempo come un paradossale vanto: il capo del Cremlino sa bene che il sistema vive di corruzione, ma lo considera un elemento naturale, inevitabile, persino funzionale. Il giorno in cui Prigožin ha dimenticato di rispettare le regole non scritte di quel sistema, è stato fatto sparire senza esitazioni.
La verità è che, con l’ascesa di Rbe, non è cambiato nulla. I soldati russi continuano a ricevere cibo scadente, in quantità spesso insufficienti, mentre miliardi vengono drenati dalle casse pubbliche per arricchire una ristretta élite. Non c’è alcun meccanismo di concorrenza, trasparenza o controllo: i contratti vengono assegnati in base a criteri politici, non economici.
E l’eliminazione di Prigožin non fa che confermare la logica spietata di un sistema in cui il denaro pubblico è bottino da spartire, non risorsa da amministrare. Il caso Rbe è quindi la rappresentazione perfetta della Russia di Putin: un’economia di guerra che funziona come una gigantesca piramide mafiosa. In cima c’è il Cremlino, che distribuisce premi e punizioni; alla base c’è il popolo, che paga i costi della corruzione e della guerra. Tra questi due estremi prospera una cerchia di oligarchi, propagandisti e uomini d’affari che si arricchiscono senza limiti, mentre il Paese sprofonda in una spirale di autoritarismo e impoverimento. È il “grande banchetto” del Cremlino: un banchetto a cui siedono sempre gli stessi convitati, e da cui la Russia intera rimane esclusa.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
di Renato Caputo (*)