I dazi Usa slittano ancora

venerdì 1 agosto 2025


Donald Trump e i dazi come Achille e la tartaruga. Stavolta per motivi tecnici – sono ancora in corso diverse trattative con altri Paesi per la negoziazione delle tariffe – ma fatto sta che i dazi sono stati rimandati. Di una settimana, ed entreranno in vigore giovedì 7 agosto. Secondo il New York Times, fino ad allora le tariffe rimarranno ai livelli attuali. Inoltre, i nuovi dazi doganali sulle merci spedite via nave non saranno modificate prima del 5 ottobre 2025. Il presidente degli Stati Uniti aveva assicurato che la data del primo agosto per l’entrata in vigore dei nuovi dazi sarebbe stata definitiva. Ma il decreto stabilisce invece che l’attuazione dell'ordine esecutivo inizierà sette giorni dopo. Questo tempo servirebbe per dare alle dogane il tempo di organizzare il ritiro, stando alle dichiarazioni di un funzionario della Casa Bianca.

Sul fronte europeo, restano in vigore le tariffe generiche al 15 per cento, frutto dell’intesa negoziata tra Bruxelles e Washington. “I nuovi dazi statunitensi riflettono i primi risultati dell’accordo Ue-Usa, in particolare il tetto massimo del 15 per cento sui dazi all-inclusive. Questo rafforza la stabilità delle imprese europee e la fiducia nell’economia transatlantica”, ha scritto su X il commissario europeo al Commercio, Maroš Šefčovič, incaricato proprio della trattativa dalla Commissione europea. “Gli esportatori dell’Ue beneficiano ora di una posizione più competitiva. Il lavoro continua”. Una lettura condivisa anche in Italia da Maurizio Lupi, segretario di Noi Moderati: “I dazi decisi da Trump sono un errore, ma andare al muro contro muro avrebbe portato a una escalation e a una guerra commerciale con danni anche peggiori”. Lupi rivendica come “aver raggiunto un accordo non significa aver assecondato Trump, significa aver voluto difendere le famiglie e le imprese italiane ed europee in un momento di enorme complessità. Questa era e resta la priorità, la sinistra eviti perciò polemiche strumentali”. E avverte: “C’è comunque ancora una seconda fase della trattativa, quella su esenzioni e regimi speciali. Si tratta di lavorare sui dettagli per migliorare l’intesa e i margini ci sono. Ma la sfida per l’Ue è anche un’altra: riformarsi, abbattere le barriere e i dazi interni, sburocratizzare, rafforzare il mercato interno e aprire a nuovi mercati”.

All’indomani dell’entrata in vigore del nuovo ordine esecutivo, un dato si impone: l’accordo tra Trump e Ursula von der Leyen, firmato in Scozia, ha tenuto, nonostante i malumori interni all’Ue e le tensioni latenti. Stessa tenuta anche per Giappone e Regno Unito, mentre il Canada è stato colpito duramente, con un incremento tariffario dal 25 al 35 per cento “in risposta alla continua inazione e alle ritorsioni di Ottawa”. Stessa sorte è toccata alla Svizzera, sanzionata con un dazio più alto rispetto a quanto inizialmente annunciato, ora pari al 39 per cento. Il premier dell’Ontario Doug Ford ha esortato il primo ministro canadese Mark Carney a non cedere alle pressioni di Washington.

Restano invece invariati i dazi verso India (25 per cento) e Corea del Sud (15 per cento). Dalla lista pubblicata in serata dalla Casa Bianca emerge che tutte le merci importate da Paesi non inclusi nei 92 indicati in allegato saranno soggette a una tariffa del 10 per cento, mentre per gli altri si prevedono aliquote maggiorate. Il livello più elevato – 41 per cento – è stato fissato per i prodotti provenienti dalla Siria. Il Brasile, formalmente ancora al 10 per cento, è stato oggetto di un provvedimento mirato: un ulteriore dazio del 40 per cento è stato imposto su alcune categorie merceologiche, in segno di ritorsione verso il presidente Luiz Inácio Lula da Silva, accusato da Trump di interferenze nel processo all’ex capo di Stato Jair Bolsonaro. Tra le novità più significative, l’ordine esecutivo introduce anche una tassa del 40 per cento su tutte le merci che la Us Customs and Border Protection riterrà “trasbordate”, ovvero riconfezionate in Paesi terzi per eludere le tariffe previste verso la Cina. Una misura pensata per colpire i fenomeni di elusione commerciale che Washington ritiene in forte crescita, specie nel settore tech e dellelettronica. Soprattutto da parte del Dragone cinese.


di Redazione