Macron ha appena gettato le basi per una grande guerra in Medio Oriente?

mercoledì 30 luglio 2025


Riconoscendo uno Stato palestinese, il presidente francese scatena un allargamento del conflitto.

Il 24 luglio 2025, il presidente francese Emmanuel Macron, alle prese con una crescente opposizione politica interna e con la moglie che accennava a un imminente divorzio, ha deciso di spostare l’attenzione sul Medio Oriente. Sui social media, ha  twittato a sorpresa che riconoscerà ufficialmente a settembre lo Stato di Palestina, in occasione della sessione annuale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. “Fedele al suo impegno storico per una pace giusta e duratura in Medio Oriente, la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina [il prossimo settembre]”, ha scritto.

Macron potrebbe credere che il riconoscimento unilaterale dell’indipendenza palestinese risolverà l’impasse del processo di pace e favorirà la pace in Medio Oriente, ma si sbaglia. Riconoscendo uno Stato palestinese, non risolverà il conflitto, ma lo alimenterà.

In primo luogo, Macron riconosce uno Stato con confini contesi. Definire la Cisgiordania “occupata” solleva la domanda: occupata da chi? Prima che Israele assumesse il controllo nel 1967, la Giordania amministrava sia la Cisgiordania che la Città Vecchia di Gerusalemme, attuando una pulizia etnica degli ebrei dai suoi territori. Prima della creazione della Giordania da parte degli inglesi, gli ottomani amministravano la regione, ma non utilizzavano gli stessi distretti amministrativi. L’identità araba palestinese non si è consolidata fino alla metà del XX secolo. Prima della creazione di Israele, coloro che oggi si identificano come arabi palestinesi si consideravano in gran parte siriani. Quasi tutti erano stati attratti dalle terre rese coltivabili grazie al prosciugamento delle paludi malariche e ai sistemi di irrigazione realizzati dagli immigrati ebrei. Il riconoscimento della Francia non risolverà le dispute sui confini, ma potrebbe renderle più impellenti. Riconoscere le linee dell’armistizio del 1949 come confine tra Israele e uno Stato palestinese significa dichiarare che Israele deve evacuare la Città Vecchia di Gerusalemme. Di fatto, Macron rinvigorirebbe e avallerebbe la pulizia etnica degli ebrei di Gerusalemme compiuta dalla Giordania negli anni Quaranta. Se, tuttavia, Macron facesse eccezioni per i quartieri e le città ebraiche, allora si renderebbe conto che il suo riconoscimento è stato avventato e prematuro.

In secondo luogo, la Francia condanna al fallimento qualsiasi eventuale Stato palestinese. Chi governa uno Stato palestinese? Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha quasi 90 anni. È ora al 21° anno del suo mandato quadriennale, avendo rifiutato di dimettersi, di sottoporsi al voto degli elettori o di nominare un successore. In effetti, uno dei motivi principali per cui Hamas ha deciso di invadere Israele il 7 ottobre 2023 è stato quello di rivendicare la leadership palestinese post-Abbas. Riconoscere uno Stato palestinese in un momento in cui diversi gruppi palestinesi si contendono la leadership palestinese e lo stesso Abbas rischia la propria vita, rende probabile una guerra civile tra palestinesi. Immaginate il Sudan, il Sud Sudan o la Repubblica Democratica del Congo sotto steroidi, mentre diversi Stati decidono di armare le proprie fazioni e di usare il sangue palestinese per alimentare le loro rivalità.

A partire dalla prima Intifada del 1987, molti accademici e attivisti hanno razionalizzato la violenza palestinese: i palestinesi lanciavano pietre o ricorrevano agli attentati suicidi perché non disponevano di missili o aerei da combattimento. Tale logica potrebbe spiegare l’asimmetria, eludendo però una questione importante: se lo Stato palestinese avesse avuto armi simili a quelle di Israele, le avrebbe utilizzate? La risposta è sì. Uno dei principali freni al riconoscimento dello Stato palestinese è stata l’impossibilità per altri Paesi di vendergli o fornirgli armi. Nell’aprile e nell’ottobre 2024, e poi di nuovo nel giugno 2025, l’Iran ha lanciato missili e droni contro Israele. Ma lo Stato ebraico ha avuto un certo preavviso grazie alla distanza tra i due Paesi: nel punto più vicino, Israele e l’Iran distano circa 1230 chilometri l’uno dall’altro, anche se Teheran ha posizionato i suoi droni e lanciamissili ancora più lontano. Se fosse indipendente, solo la forza militare potrebbe impedire all’Iran di posizionare missili in Cisgiordania e a Gaza. Né la Repubblica islamica d’Iran sarebbe la sola a cercare di utilizzare uno Stato palestinese come testa di ponte.

Un problema ancora più grave potrebbe essere rappresentato dalla Turchia. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha apertamente cercato di ricostituire l’Impero Ottomano, se non formalmente, almeno idealmente. La Turchia domina la Siria e sempre più anche la parte settentrionale del Libano. Per Erdoğan, uno Stato palestinese dominato da Hamas sarebbe il premio finale. Egli sostiene apertamente Hamas e ha consentito al gruppo di trovare un rifugio sicuro in Turchia per pianificare i suoi attacchi contro Israele. Ankara vende già i suoi droni e le sue armi a clienti in tutta la regione, dalla Somalia al Pakistan, pertanto, Erdoğan considererà uno Stato palestinese indipendente, sostenuto dalla Francia e dalla comunità internazionale, un mercato naturale per le armi turche da utilizzare non solo contro Israele, ma anche contro la Giordania, la cui monarchia hashemita ostacola direttamente le ambizioni neo-ottomane di Erdoğan. Qualunque sia il motivo che induce un Paese a vendere armi allo Stato palestinese il risultato sarebbe lo stesso: ciò che un tempo la comunità internazionale poteva contenere con embarghi sulle armi o limitare con campagne antiterrorismo, ora sarà una guerra interstatale che coinvolgerà almeno due, e forse anche più, Paesi della regione.

La questione ora non è se ci sarà una guerra, ma quando.

(*) Tratto dal Middle East Forum Observer

(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Michael Rubin (*)