venerdì 20 giugno 2025
Alì Khamenei, chi? Quel Grande Vecchio che ha ordinato ai suoi bravi incappucciati di sparare con i pallini da caccia negli occhi delle giovani donne di Donna Vita Libertà, uccidendole, incarcerandole senza processo, ferendole e mutilandole gravemente, vedi il film Il seme del fico sacro, Premio speciale della giuria a Cannes?
Sì, pare si tratti proprio di lui, il Papa iraniano che si è immediatamente bunkerizzato con la sua prole, dato che, a quanto pare, la sua teocrazia è un regime ereditario, per cui il successore designato è suo figlio secondogenito, anche lui illustre chierico che nessuno però ha mai eletto. Lui, la Guida Suprema, che non si è mai nemmeno lontanamente sognato di fare come Pio XII, quando Roma venne bombardata nel 1944, recandosi tra la sua gente e aprendo tra le macerie le braccia e il suo mantello bianco (nero, nel suo caso) a protezione degli indifesi. Immaginate che cosa sarebbe successo se, invece di darsi alla fuga, terrorizzato dalle minacce del duo Trump-Netanyahu, l’anziano chierico 86enne, massima autorità religiosa dell’Iran, avesse fatto la stessa cosa di Papa Pacelli stringendosi come un sol uomo al suo popolo bombardato, per il quale non ci sono né rifugi antiaerei, né tunnel alla Hamas-Hezbollah sotto cui rifugiarsi? Praticamente avrebbe vinto la guerra mediatica con un solo gesto, esponendosi senza timore ai colpi del suo micidiale nemico, semplice entità sionista e, quindi, in definitiva, un non-uomo, tanto è vero che nella Costituzione iraniana è fatto obbligo ai suoi fedeli di cancellare quel popolo senza nome dalla faccia della terra.
Il problema per lui è che siano proprio i sionisti a umiliare oggi la sua hubris, spegnendo con l’aviazione e con le bombe di precisione, che hanno su incisa la stella di Davide, quel cerchio di fuoco che Khamenei aveva steso tutt’intorno Israele con le sue armate di proxy. Queste ultime foraggiate ed equipaggiate in missili, armi e postazioni militari fortificate, costati centinaia di miliardi di dollari, sottratti senza alcun controllo democratico alle casse del popolo iraniano, dolorosamente segnato dalle ristrettezze dell’embargo internazionale e dalla mancanza assoluta di libertà. Detto questo, occorre smitizzare per contrappeso tutto l’apparato ideologico occidentale (e non solo, visto che Russia e Cina sono affette dalla stessa malattia, vedi Kiev e Taiwan!) sulle introvabili virtù del regime change. Iniziando proprio dalla tragedia afghana, dove i mujahidin con le ciabatte e vecchi kalashnikov l’hanno avuta vinta per ben due volte sui “puppet-State” (regimi fantoccio) imposti loro prima dai russi negli anni 80, e poi dagli americani negli anni 2000. All’epoca, l’Occidente equipaggiò in funzione antisovietica i mujahidin afghani dell’Alleanza del Nord, dotandoli in particolare di sistemi d’arma micidiali, come i lanciamissili portatili Stinger, in grado di abbattere a bassa quota elicotteri e aerei di guerra russi. Il caos e la guerra civile seguiti al ritiro dei sovietici favorirono l’ascesa dell’ala fondamentalista più radicale, i famosi Talebani o alunni di Dio, che operarono un drammatico regime-change dall’interno, instaurando una teocrazia inferiore per ferocia e oscurantismo solo a quella dell’Isis.
Così quelli che “esportiamo la democrazia” con truppe corazzate di invasione, pensarono bene di vendicarsi delle Torri Gemelle portando la guerra a Kabul e negli anfratti di montagne invincibili. A partire da quei “boots-on-the-ground”, erigemmo da incompetenti un regime amico afghano e foraggiammo con trilioni di dollari un’armata fantoccio, corrotta e incapace come tutta l’amministrazione afghana da noi controllata. Com’è noto (vedi il disastro del ritiro americano nel 2021), queste realtà artificiali si sono poi dissolte in un baleno, a seguito del ritorno in forza dei Talebani, con l’unico risultato per noi di aver procurato innumerevoli vittime civili durante l’occupazione, e subito migliaia di perdite militari nei ranghi del nostro corpo di spedizione.
Ripetemmo con perseveranza e tenace follia la stessa cosa, inventandoci le armi di distruzione di massa che Saddam Hussein non aveva, inondando l’Iraq con una possente armata di centinaia di migliaia di uomini. Dissipando anche lì trilioni di dollari, per generare una guerra civile senza pari e senza fine, avendo messo a capo del nuovo Stato-fantoccio irakeno un certo governatore americano assolutamente incapace, tale Paul Bremer. A questo scellerato Vicerè si deve la brillante idea di lasciar saccheggiare tutti i tesori d’arte irakeni e di smantellare l’esercito e i servizi segreti di Saddam, i soli che avessero una conoscenza capillare del territorio e il controllo delle fazioni armate irakene. Così, dopo un decennio, il grande Occidente fu costretto a fuggire a gambe levate (si veda il bellissimo film “American Sniper” di Clint Eastwood), avendo fallito tutti gli obiettivi che ci eravamo proposti, lasciando per di più dietro di noi una regione completamente destabilizzata, alla mercé del regime sciita iraniano.
Ora, però tra Israele e Iran non è più questione di darsela in base al gioco dispettoso del “Tit-for-Tat”, ovvero: “io do un colpetto a te e tu ne dai uno a me”, che non vale più quando il tuo nemico è molto più forte di te, per cui ti ricambia uno schiaffo con altri cento, salvo il resto. Tuttavia, Washington e Tel Aviv, essendo l’unico Occidente combattente che ci rimane, visto che l’Europa formato G-6 è “tutto chiacchiere e distintivo”, non debbono ripetere gli errori fatti a ripetizione da 30 anni a questa parte con la storiella buonista del regime-change.
Qui bisogna essere molto chiari: l’alternativa al regime teocratico folle degli ayatollah è solo e soltanto “politica”, dato che non c’è e non ci può essere (per fortuna nostra!) una Armata di liberazione, che conquisti Berlino e demolisca i bunker di regime, con tutta la leadership teocratica che c’è sotto. E qui sono davvero dolori, perché come tutti sanno, pochissimi hanno un’idea di chi, oggi, nella società civile iraniana, abbia una consistenza e un prestigio politici tali da potersi proporre come leadership credibile e alternativa, per guidare la Persia verso orizzonti di pace, di benessere e di riconciliazione con tutti i popoli della regione, non più sunniti contro sciiti ma semplicemente “cittadini” di nazioni diverse. Ora, bisogna trarre il massimo di insegnamenti, andando a ritroso nel tempo, capendo che noi occidentali abbiamo sempre fallito perché non avevamo alcuna soluzione politica, oltre alla conquista con le armi di quei territori martoriati del Medio Oriente.
Non avevamo studiato, cioè, un bel nulla delle profonde radici etnico-culturali, della storia millenaria di quelle contrade, feroci assertori come eravamo e siamo della nostra “giusta” causa ideologica, contro i turbanti, la clausura e i veli delle donne. Non abbiamo mai più avuto alcuna idea (come invece l’avevano l’Impero Ottomano e quello arabo) di che cosa sia e come si realizzi (sui tempi lunghi e spontaneamente) il cosmopolitismo, in cui tutte le culture, le etnie e i credi religiosi assumono un equilibrio stabile, e tutti fanno figli e allevano famiglie senza mai sognarsi di scacciare gli altri da una sola stessa terra.
Ecco: magari cominciamo da qui, a capire noi per primi che la Techné, il Denaro, la Laicità, il Diritto “non” valgono in altre regioni del mondo dove, malgrado la nostra suicidaria livella, esistono ancora dei “Valori” etico-religiosi e fortemente identitari!
di Maurizio Guaitoli