mercoledì 18 giugno 2025
Che cosa farà tremare più di tutti il regime di Teheran? Di sicuro, la chiusura dei distributori di benzina per mancanza di carburante, a seguito degli attacchi israeliani agli impianti di raffinazione. Solo così, senza più gasolina per far muovere milioni di auto, regime e miliziani di dio non potranno più contenere la furia popolare, dato che l’Iran è un Paese troppo grande per muoversi a piedi. Perché stavolta Israele non si fermerà, non dovendo affrontare la questione degli ostaggi, finché in un modo o nell’altro non avrà eliminato tutte le capacità dell’Iran di produrre armi nucleari. E non è detto, con tutta franchezza, che il tanto auspicato regime-change, per effetto delle distruzioni conseguenti e delle vittime civili, porti poi davvero alla rinuncia del nucleare da parte della leadership che dovesse prendere il potere a Teheran, una volta estromessi gli odiati ayatollah. Dato il mosaico delle etnie e delle componenti che fanno riferimento ai potentati locali, lo scenario è piuttosto quello di una guerra civile, né più e né meno in base a quanto accadde in Iraq a seguito dell’invasione americana del 2003. Del resto, non sarà davvero un caso se, storicamente, in quella regione turbolenta del mondo prevalgono feroci regimi dittatoriali, gli unici che possano tenere assieme un embrione di nazione e contenere le spinte centrifughe delle fazioni tribali. Si vedano in tal senso i precedenti di Saddam Hussein, Afez e Bashar al-Assad e Muʿammar Gheddafi che l’Occidente ha contribuito a detronizzare, con tutto il susseguente caos che se n’è generato e che ancora si riverbera drammaticamente sui rapporti internazionali.
Sussiste poi a latere una serissima questione tecnica, che riguarda il danneggiamento permanente e irreversibile dei centri iraniani di arricchimento dell’uranio, sepolti letteralmente in profondità in gabbie sotterranee di cemento che solo speciali bombe americane, lunghe decine di metri e dal peso di alcune tonnellate, possono effettivamente raggiungere con effetti devastanti. Ma, poiché come tutti i bunker, da qualche parte si deve poter entrare e uscire in superficie, basta un serio bombardamento a tappeto per rendere inaccessibile l’area e seppellire per un certo lasso di tempo quel che c’è sotto. E questo, tra l’altro, darebbe ampi margini di manovra per trovare una soluzione diplomatica prima che i centri di arricchimento possano ritornare a funzionare. Facendo la tara a tutto ciò, l’interesse strategico per l’attuale conflitto israelo-iraniano risiede in tutt’altri aspetti, che riguardano la distruzione effettiva della tela di ragno (una vera e propria vedova nera islamica) che il regime ha tessuto nell’intera regione. E lo ha fatto più precisamente penetrando nei Paesi limitrofi laddove il veleno del fondamentalismo sciita aveva solide radici, grazie alla presenza numerosa (anche se minoritaria) di comunità religiose di confratelli sciiti, come in Iraq, Libano, Siria e Yemen.
Al netto della disastrosa situazione di Gaza, dove invece sarebbero servite molte più esecuzioni mirate, al posto dei bombardamenti sugli insediamenti civili, quel che sinora si può dire è che il maglio di Benjamin Netanyahu abbattutosi sugli Hezbollah libanesi ha funzionato piuttosto bene per modificare gli assetti di potere a Beirut come a Damasco, dove si intravede l’emergere di una leadership intenzionata a sottrarsi alla sfera di influenza di Teheran, così come sta già accadendo in Iraq. A questo punto, l’aspetto di Netanyahu assomiglia a un vero e proprio Giano Bifronte, che le sbaglia tutte a casa sua ma fa faville nella demolizione della tela di ragno iraniana. Detto con grande onestà, l’ipotesi sollevata come un mantra salvifico dal mondo woke, progressista e irenista della soluzione dei Due Stati non ha nessun fondamento né dalla parte palestinese, né da quella israeliana. E questo per ragioni evidentissime, se le si vuole vedere. A parte i lutti terribili che dividono i due popoli, inflitti dall’uno e dall’altro versante alla popolazione civile, creando tra di loro un odio insanabile, nessuno osa azzardare di precisare quali sarebbero i gradi di libertà da concedere a uno “Stato palestinese”. Tipo: libertà di avere un esercito agguerrito, con centinaia di migliaia di effettivi, truppe corazzate, aviazione militare e capacità missilistiche? Libero, per esempio, di avere mano libera nelle relazioni e nelle alleanze internazionali, che potrebbero condurre uno Stato palestinese autonomo ad allearsi con Paesi ostili a Israele che, a giudizio di questi ultimi, non avrebbe diritto a esistere? Ancora: questo futuribile Stato avrebbe diritto di ricomporre la diaspora della Nabka, facendo rientrare nei suoi confini milioni di palestinesi espatriati all’estero, che altererebbero gli equilibri demografici dell’area, nel rapporto di cinque palestinesi per ciascun ebreo residente in Israele?
Di certo, Netanyahu chiederebbe (e riceverebbe di sicuro) semaforo verde e l’aiuto consistente dell’America per attacchi aerei devastanti, qualora il regime iraniano tentasse di destabilizzare l’Occidente minando lo Stretto di Hormuz e affondando navi da trasporto di petrolio e gas, per far salire alle stelle i prezzi energetici nel resto del mondo. Altro grande vantaggio per “Bibi”, così come dimostrato dalle esecuzioni mirate dei vertici politici e scientifici iraniani, è stato il sostegno interno ricevuto dal Mossad che ha beneficiato di un tessuto molto fitto di spie e collaborazionisti, infiltrati a tutti i livelli dell’amministrazione iraniana, che hanno dato sostegno e fornito informazioni preziose per colpire al cuore il loro odiatissimo regime. Così, domani, quando i comandanti militari si troveranno a prendere decisioni per attaccare Israele o un suo alleato nella regione, saranno costretti a chiedersi se, per caso, l’ufficiale accanto a loro non sia una spia israeliana. Insomma, gli ayatollah faranno la fine repentina di Bashar al-Assad, o terranno duro reprimendo nel sangue e nella violenza l’eventuale ribellione interna? In questo caso, bisognerà cogliere l’occasione per armare fino a denti gli eventuali ribelli. Bella partita, non trovate?
di Maurizio Guaitoli