giovedì 22 maggio 2025
L’enigma Jean-Luc Mélenchon. Deus ex machina ma anche, e soprattutto, secondo i suoi non pochi detrattori, padre-padrone della gauche. Non ci sono vie di mezzo. Il capo pretende tanto, anzi tutto. Il sacrificio è regola, per non morire. Al limite ti ammazza lui. La meute (Il branco) è intitolo del libro inchiesta di due giornalisti, Charlotte Belaich e Olivier Pérou, sul metodo Mélenchon e il suo partito, La France Insoumise. Variazione sul tema, in sostanza, del partito-Stato, che significa culto della personalità e sottomissione totale. Il capo, o lo ami o lo odi. E gli odi e le ripicche nella gauche popolare francese non mancano. Parlando con alcuni attivisti di partito, riviene in mente a noi che stiamo da questa parte delle Alpi, la scena fantozziana del geometra Calboni davanti al conte Catellani (“è un bel direttore!”). Per molti militanti intervistati, infatti (tanto per ribadire la straordinaria attualità dell’intuizione di Paolo Villaggio) Jean-Luc Mélenchon è considerato “un messia”. È “il sole”, dicono, “che manda tutti in orbita”, che “non ha normali relazioni umane, non parla con gli attivisti”, ma “svolge il suo ruolo di simbolo”.
La sua ex vice a Marsiglia, per esempio, assicura su quanto sia capace di “convincere le persone”. Non è un caso, dice Sophie Camard, che Mélenchon “sia a questo livello”. Ciò “che è interessante è la sua influenza: è capace di far ingoiare alla gente qualsiasi cosa. Per alcuni, significa essere vicini a Dio Padre. Esistono veri e propri giochi di influenza per essergli il più vicino possibile”. È un santo, è un apostolo! Però non gioca a stecca. Ma fa mangiare i gessetti a chi osa ostacolare i suoi progetti. Vendicativo quanto basta, con tentazioni autoritarie. Normale amministrazione, nella grande famiglia socialista europea, e francese in particolare. Gli autori hanno intervistato amici e nemici che hanno gravitato attorno al “sole”, dai consiglieri più ascoltati a coloro che ne hanno preso, presto o tardi, le distanze.
Mélenchon sa distribuire con abilità attenzioni che sfiorano “l’adulazione” ai suoi collaboratori. Per poi dargli improvvisamente il ben servito. magari con un messaggio via telefonino: “Non rivolgermi mai più la parola”. È quanto accaduto ad Alexis Corbière, cioè colui che ha affiancato Mélenchon per 30 anni di battaglie e campagne elettorali. I due erano praticamente inseparabili, scrivono gli autori, non sono nelle battaglie politiche, ma anche nelle serate passate in casa a cantare canzoni rivoluzionarie. “Jean-Luc era il mio capo, io ero un soldato semplice, uno scagnozzo, chiamatelo come volete. Ero convinto che fosse il migliore. Lo conoscevo intimamente, l’ho visto in tutti gli stati. Ha lati belli e lati oscuri”. Quest’ultimo è roba della scorsa estate: rottura brutale e definitiva. Più in generale, l’ambiance, assicurano Belaich e Pérou, nel partitone della sinistra non sembra dei più distesi.
Con una concezione verticistica del potere, è giocoforza che l’aria sia spesso pesante. Anche perché oltre al capo, ci sono luogotenenti e viceré che ritengono di avere le mani libere su tutto e tutti. È il caso di tale Sophia Chikirou, deputata parigina ed ex direttrice del canale televisivo Le Média, dipinta come “tirannica” e poco attenta ai sentimenti dei suoi colleghi. Il giorno dopo le scorse Elezioni europee, per esempio, sul gruppo Telegram dei deputati di LFI, ha scritto a Clémentine Autain: “Non hai aspettato i risultati per sputare. Come al solito. Sei patetica”. Poi: “Chi ti credi di essere?”. La violenza verbale è diventata una regola. Ai neoassunti, ai dipendenti o agli stagisti, Sophia Chikirou si presenta sempre come la preferita del capo per imporre meglio la sua autorità”. “È incredibilmente cinica e non lo nasconde”, afferma Frédéric Hocquard, vicesindaco di Parigi.
Il libro-dossier sulla melanchonie, che fa il verso alla macronie, serve sostanzialmente a evidenziare il paradosso dei paradossi: come può, infatti, un partito “verticalizzato” e “disciplinato” secondo i voleri di un capo che chiede “devozione cieca”, come La France Insoumise, dove “la violenza verbale, morale e fisica” è legittimata e giustificata, accreditarsi presso i francesi per costruire “una società giusta, inclusiva e radicalmente democratica?” La gestione tossica ha accumulato rancori, malumori e divisioni. Gli avversari interni, e i trombati eccellenti, considerano Mélenchon il vero ostacolo alla vittoria della sinistra in Francia. L’interessato pensa solo agli attivisti, che considera “le mie braccia e le mie gambe, e io sono la testa: non ho bisogno che nessuno pensi”. I dissidenti vengono eliminati, anche con tecniche digitali. Il libro rivela che nel partito si utilizza photoshop per cancellare ex attivisti o ex lealisti che hanno rotto i ranghi.
A Marsiglia, a pagarne le conseguenze è stato Alexandre Georges, che ha lasciato il movimento dopo essersi accorto di essere stato cancellato da una foto di gruppo. Sì, è proprio come in Unione sovietica, scrivono gli autori “quando si eliminava dai cliché le personalità cadute in disgrazia”. Anche “se sono molto piccoli in una foto, in mezzo alla folla, i traditori, compresi quelli più insignificanti, sono soggetti a qualche ritocco di photoshop”. L’entourage del capo ha reagito parlando di “pettegolezzi” e “menzogne”. Lui ha dato dei “degenerati” agli autori, accusati di aver “riletto e inventato” la vita privata dei dirigenti del partito. “Non l’ho nemmeno letto e non voglio leggerlo”, ha detto in un incontro pubblico. “Non voglio che mi faccia del male. Non voglio che mi entri in testa”.
di Pierpaolo Arzilla