Tentativo di pace nonostante i “volenterosi”

giovedì 22 maggio 2025


Mentre i cosiddetti “volenterosi” cercano in tutti i modi di creare dei presupposti per determinare un escalation della guerra in Ucraina, con a capo la “brutta copia” di Napoleon, ovvero Monsieur Emmanuel Macron, coloro che determinano fattivamente le sorti geopolitiche ed economiche mondiali si sono sentiti per trovare concretamente un accordo di pace, ossia Donald Trump e Vladimir Putin. Invero, la telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin ha rimesso in moto la diplomazia internazionale. Un evento che ha tenuto il mondo col fiato sospeso, e che ha smentito le previsioni – e le speranze – del cosiddetto “partito della guerra”, in affanno in America ma ben radicato in Europa. A Kiev, i “volenterosi” guidati da Macron, Friedrich Merz, Keir Starmer e Voldymyr Zelensky avevano auspicato un ultimatum secco alla Russia. Trump, invece, ha ignorato le pressioni. Niente diktat, niente linguaggio bellicoso. Solo due ore di conversazione riservata, in un clima definito da entrambi i presidenti come “positivo”.

Pertanto, è stato un gesto che ha spiazzato i fronti più oltranzisti, sia quelli liberal sia i neocon americani, che accusano Trump di essersi “piegato” a Putin. In realtà, il tycoon ha semplicemente confermato la propria linea di continuità: riaprire il dialogo, abbassare i toni, e provare a costruire una via d’uscita negoziale da un conflitto che sta logorando l’Ucraina e l’Europa, ma anche le finanze e la leadership americana. Cosa si siano detti i due presidenti, rimane per ora avvolto nel riserbo. Non ci sono comunicati ufficiali, solo brevi dichiarazioni. Putin ha ringraziato Trump per aver rilanciato i rapporti, segnalando la disponibilità a discutere di un cessate il fuoco “qualora vengano rimosse le cause che hanno originato le ostilità”. Un linguaggio che richiama, per certi versi, la proposta russa avanzata a Istanbul e ignorata da Kiev e dai suoi sponsor occidentali. Trump, dal canto suo, ha eluso i contenuti per soffermarsi sulle chiamate successive: ha informato Voldymyr Zelensky, Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Giorgia Meloni, Friedrich Merz e il presidente finlandese Alexander Stubb. Nessuna telefonata a Keir Starmer, l’uomo forte di Londra. Un’assenza che pesa, e che sembra indicare quanto Trump consideri il Regno Unito più un problema che un alleato nella costruzione della pace. Al contrario, ha scelto di coinvolgere la Finlandia, segnale sottile ma eloquente: il vento sta cambiando, e l’egemonia anglosassone sull’Europa non è più scontata.

Il colpo di scena più grande arriva alla fine del messaggio di Trump: il Vaticano si candida a ospitare i negoziati. È un’affermazione densa di significato. La Santa Sede, neutrale e simbolicamente universale, offrirebbe un terreno di mediazione che taglia fuori le logiche da guerra fredda. Inoltre, con questo gesto, Trump risponde a chi lo accusava di essere in contrasto con il Papa, trasformando il Vaticano in un attore geopolitico centrale. Un colpo di teatro con solide radici diplomatiche: non è un mistero che Roma ospiti anche i colloqui tra Usa e Iran sul nucleare. Sullo sfondo, resta la domanda: questo è l’inizio di un vero processo di pace? È significativo che per la prima volta Trump abbia usato il termine “processo”, parola che implica gradualità, complessità e tempo. Niente slogan roboanti: un segnale di realismo, se non di maturità politica.

Secondo il media ucraino Strana, Zelensky – pur legato al “partito della guerra” – non può permettersi di rompere con Trump. Senza il sostegno americano, l’Ucraina non può reggere il conflitto. Inoltre, i falchi al Congresso stanno tentando un colpo di mano: una legge che imponga dazi punitivi del 500 per cento alla Russia, spinta dal solito Lindsey Graham e da 50 senatori bipartisan. Un atto che rischia di sabotare ogni trattativa. Ma Trump può opporre il veto, e difficilmente i voti per superarlo sarebbero sufficienti. La realtà è che, per la prima volta da mesi, la porta della trattativa è stata riaperta. Il piano dei “volenterosi” – lanciato da Kiev a inizio maggio, con l’ultimatum europeo – è rientrato nel cassetto. Non è morto, ma è sospeso. Il rischio di un’escalation, con nuove sanzioni e colpi di ritorsione, è stato arginato. Per ora. La domanda finale è se la finestra aperta da Trump e Putin resisterà agli urti delle sabbie mobili geopolitiche. Una cosa è certa: il vento di guerra che soffiava sull’Europa ha trovato una prima resistenza. E quella resistenza, oggi, parla con accento americano – ma non britannico – e guarda a Roma, non a Londra.


di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno