lunedì 19 maggio 2025
Il sistema migratorio occupa nei media e nella politica correlata spazi sempre più vasti e posizioni sempre più divisive. La complessità del “non fenomeno migratorio”, soprattutto clandestino, è tale che influisce sull’economia, sulla società, sulla sicurezza, sulla qualità della vita dei Paesi riceventi, sfoga nella violenza, e in modo subdolo abbraccia il business di chi favorisce, con modalità diverse, una coabitazione coatta che esalta soprattutto l’inintegrabilità o la difficile integrabilità dei migranti. Vengono resi noti alla massa in modo parzialmente corrispondente alla realtà, le Nazioni di provenienza e le rotte sia marittime che terrestri che conducono nel continente europeo. Qui a svantaggio degli autoctoni si celebra il successo dell’impresa dei trafficanti che collocano i loro “clienti”, che assumono vari “status”, nel contesto economico passivo del Paese. In realtà gli spostamenti e le collocazioni di questi migranti si realizzano con note sovvenzioni che li dotano di mezzi di trasporto elettrici dell’ultima generazione, smartphone all’avanguardia, e lunghe passeggiate dai supermercati alle proprie abitazioni, carichi di derrate alimentari che sovente scartano. Tuttavia queste rotte e queste dinamiche umane sono ormai così consuete che sono state assorbite dalla società come endemiche anche se socialmente tossiche. Ma la corrente ascensionale migratoria verso il continente europeo non è l’unica rotta di tali spostamenti, indubbiamente è quella che garantisce meglio una permanenza anche agiata nel nuovo “Eldorado europeo”, ma vi è anche la rotta marittima verso Ovest, che parte dal centro nord Africa verso Canarie, Azzorre per poi spesso perdersi nell’Oceano Atlantico o fare approdare sulle coste sudamericane qualche barca con a bordo cadaveri di migranti africani.
Ma vi è anche una rotta migratoria poco nota, che contrariamente a quella che dal Corno d’Africa va verso l’Europa o gli Stati del Golfo, in questi ultimi il trattamento è decisamente diverso, è diretta verso il cosiddetto “viaggio meridionale”, destinazione Sudafrica. Tale itinerario migratorio è poco documentato e del quale è difficile seguirne le dinamiche complessive: dai trafficanti, allo sfruttamento, al destino di queste persone sia in itinere che una volta giunti alla meta. I tragitti che percorrono le rotte dell’Africa orientale sono quelle che intraprendono i migranti che dall’Etiopia si dirigono verso l’estremo sud. Tratte migratorie poco studiate e dai connotati spesso foschi, che si traducono frequentemente nella morte prima dell’arrivo.
Infatti, in questi ultimi anni, ma in modo particolare dal 2020, periodo da dove risultano rilevazioni più concrete, prodotte anche dall’organizzazione no-profit denominata Brave to Love con sede in Sudafrica, i corpi di molte decine di migranti etiopi sono stati ritrovati in Tanzania, Malawi, Mozambico e Zambia, oltre che in Kenya. Ogni anno migliaia di migranti etiopi intraprendono questo viaggio lungo e pericoloso tramite vari canali gestiti da trafficanti di esseri umani, che generalmente hanno la loro base in Kenya. I migranti clandestini intrapreso il “viaggio meridionale”, spesso vengono ammassati in basi di sosta intermedie, o rinchiusi nei furgoni che utilizzano come mezzo di trasporto, qui subiscono violenze di ogni genere e vengono anche privati delle basi di sopravvivenza, quindi acqua e cibo. Molti vengono sequestrati e schiavizzati, anche per lungo tempo, nei Paesi di transito. Ma se il viaggio è complesso e rischioso, se non letale, una volta giunti a Città del Capo o Johannesburg la sopravvivenza non è né scontata né facile, contrariamente a quanto accade in Europa.
I primi giorni di maggio la polizia sudafricana ha scoperto oltre 40 etiopi segregati in un’abitazione alla periferia di Johannesburg, la maggior parte scarni e in condizioni di forte stress. Questi hanno dichiarato di avere viaggiato per alcuni mesi fino a che i trafficanti non li hanno rinchiusi in questo luogo. La “rotta meridionale” è una tratta di emigrazione sempre più utilizzata dagli etiopi in cerca di una vita migliore. I dati dell’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, riportano che tra gennaio e marzo 2025 sono stati rilevati almeno 15mila migranti in movimento verso sud dall’Etiopia, con un aumento di quasi il 30 per cento rispetto al 2024, che ha sua volta aveva fatto riscontrare un ulteriore aumento a due cifre rispetto all’anno precedente. Non tutta l’Etiopia ha omogeneità migratoria, enormi problematiche esistono nella regione del Tigrai a nord, ma la maggior parte dei migranti verso sud partono dall’Etiopia centro-meridionale. Questa regione è la più densamente popolata dove l’agricoltura e la pastorizia sono l’unica scarsa fonte di sostentamento, e dove la proprietà terriera pro capite è tra le più basse, con le conseguenze che feroci tensioni tra gli abitanti esplodono anche per l’utilizzo di minime porzioni di terra. Con prospettive economiche quasi nulle l’alternativa sudafricana per loro è un obiettivo di miglioramento, ma che raggiunto rivela tutti i suoi limiti. Un recente rapporto della Banca mondiale, rivela che l’Etiopia ha reddito medio inferiore a 100 dollari al mese, il viaggio verso il Sudafrica costa quasi 5.000 dollari. E spesso questi migranti barattano i propri debiti contratti con i trafficanti con la schiavitù, fattore ben conosciuto in Africa e non dimenticato in Sudafrica.
Ovviamente il panorama della migrazione etiope è vasto e articolato su diversi livelli. Comunque, soffermandoci solo su quello legato alla necessità, parte dei migranti etiopi hanno lascito il Paese anche per ragioni politiche. In questi ultimi anni l’Etiopia ha ridotto molto la povertà rurale, il miglioramento dell’aspettativa di vita e il livello di istruzione. Progressi accompagnati però da una crescente disuguaglianza di reddito tra le aree urbane e rurali, e tra regioni settentrionali e meridionali del Paese. In Sudafrica esiste già da tempo un’ampia rete sociale per i migranti provenienti dall’Etiopia meridionale. Ma questa migrazione porta anche rientri economici (ovvero soldi inviati dagli etiopi che lavorano all’estero alle proprie famiglie) importanti in Etiopia. Infatti, le regioni centro meridionali, zone con prevalenza migratoria, e in particolare l’area di Hadiya-Kembata, ha ricevuto una delle rimesse più elevate, dimostrata dalla proliferazione di banche private e statali in queste aree considerate rurali. Ad esempio la città di Hosanna deve gran parte della sua vivacità al flusso di risorse provenienti dal corridoio migratorio Etiopia-Sudafrica.
Nel complesso risulta che dalla migrazione in generale il Paese abbia rimesse intorno ai 3,7 miliardi di dollari, una cifra che confrontata con i ricavi dalle esportazioni, che è intorno ai 7 miliardi, fa comprendere tale valore economico. Quindi una “narrazione odeporica” con dinamiche importanti di rientri economici, che potrebbe fare riflettere, con “relativistiche considerazioni”, sul disimpegno da parti di molti Paesi verso il blocco dell’esportazione dei propri migranti. Questione presente anche nelle simili realtà europee.
di Fabio Marco Fabbri