India-Pakistan: le radici della crisi

giovedì 8 maggio 2025


Non senza troppa sorpresa, viste anche le manovre interne al Pakistan, come il frettoloso rimpatrio forzato di circa un paio di milioni, per ora, di afghani presenti nel Paese, l’India ha avviato, nella notte tra il 6 e 7 maggio, un attacco militare contro il Pakistan denominato operazione Sindoor. L’azione militare, il cui nome prende origine dal simbolo rosso che le donne indù coniugate si applicano sulla scriminatura dei capelli, è stata giustificata dalle autorità indiane come reazione all’uccisione di 26 turisti indiani e un nepalese avvenuta il 22 aprile a Pahalgam nel Kashmir indiano, una nota meta turistica nella regione himalayana.

Secondo quanto comunicato dalle autorità pakistane l’attacco indiano avrebbe causato quasi 40 vittime, riaccendendo l’annosa crisi tra India e Pakistan, e con Nuova Delhi che ha dichiarato di chiudere l’unico valico terrestre tra i due Paesi. La risposta indiana è avvenuta con il bombardamento, con missili terra-terra, di nove siti considerati infrastrutture terroristiche nel Kashmir pakistano e nel Punjab. Da parte sua l’esercito pakistano ha dichiarato di avere abbattuto cinque aerei indiani, tra cui tre caccia Rafale. I siti dichiarati dall’India basi terroristiche, sono localizzati a Kolti, Muzaffarabad, Bahawalpur, Muridke e Bagh, e sono considerati le sedi del gruppo denominato Lashkar-e-Taiba, uno dei più grandi e organizzati movimenti terroristici dell’Asia meridionale e del gruppo Jaish-e-Mohammed, un’associazione terroristica autoctona del Pakistan, islamista della corrente Deobandi, attivo soprattutto nel Kashmir. Ambedue i gruppi sono ritenuti artefici di tutti gli attacchi avvenuti in India.

Tuttavia il ministro della Difesa indiano Rajnath Singh, ha tenuto a sottolineare che i bombardamenti non sono stati un’azione di guerra, ma un’azione “mirata e misurata”, con lo scopo di garantire sicurezza e non tesa ad aggravare la crisi con Islamabad; sottolineando che non sono state colpite le basi militari pakistane. Ma il governo pakistano definisce i raid un evidente atto di guerra, che oltre i morti civili, compresa una bambina, avrebbe causato anche circa 50 feriti. Ma oltre all’attacco e agli scontri tra due potenze, che anche se in carenza di grandi geostrategie, sono in possesso entrambe della bomba atomica, quali sono le radici della crisi?

Intanto possiamo definire il Kashmir l’area della discordia; è un territorio etnicamente eterogeneo, martoriato da molti decenni di violenze e appetito soprattutto dai due Paesi che tentano di poterlo controllare. In breve, quando gli inglesi nel 1947 divisero l’India britannica, la sorte della regione del Kashmir fu messa in discussione; l’ex colonia britannica, fu così spartita tra il Pakistan, a maggioranza musulmana, e l’India a maggioranza indù. Ambo i Paesi pretendevano di controllare il Kashmir, una regione naturalisticamente suggestiva, e ricca di risorse naturali. Ma alcuni mesi dopo la partizione, e nonostante che qualche attrito era già esploso, il Maharaja di Jammu e Kashmir, regione a maggioranza musulmana, Hari Singh (indù), propense per l’annessione all’India. Tuttavia la questione non chiarì il nuovo assetto che portò India e Pakistan a combattere tre guerre per il Kashmir: nel 1947-48, nel 1965 e nel 1999. I due Stati si scontrarono anche nel 1971 e nel 1984, ma non per il Kashmir. La regione è stata anche teatro di numerosi conflitti interni, tra questi gruppi armati che colpivano i pellegrini indù presenti in zona. Comunque dopo l’ultima guerra tra Islamabad e Nuova Delhi del 1999, la regione del Kashmir è diventata un’area profondamente militarizzata.

L’ultima crisi tra i due Paesi dotati di atomica, si è verificata nel 2019 quando un attentato suicida in Kashmir ha ucciso circa 40 militari indiani. Da qui le accuse dell’India al Pakistan, ritenuto il sostenitore del gruppo terroristico pakistano Jaish-e-Mohammad. Ma le smentite di Islamabad circa la presenza di questo gruppo armato nel Paese, si sono infrante contro le affermazioni sia degli Stati Uniti che dell’India che hanno invece assicurato che il gruppo terroristico è florido e operativo e ha la base in Pakistan. Nonostante le mediazioni delle Nazioni unite, nell’ultimo mezzo secolo non ci sono stati variazioni sulle posizioni dei due Stati circa il Kashmir. Così, il governo indiano accusa il Pakistan di fomentare i movimenti separatisti del Kashmir, ma da parte sua il governo pakistano chiede un referendum tra i kashmiri al fine che possano determinare autonomamente il proprio destino, ovvero con quale Paese stare. Tuttavia tale richiesta è stata respinta da Nuova Delhi conscia della maggioranza musulmana nella regione, ma anche certa della forte pressione esercitata da Islamabad sui movimenti terroristici, reazionari e separatisti del Kashmir. Ma anche nella parte del Kashmir controllata dal Pakistan sono frequenti disordini e proteste che riflettono un generale dissenso nei confronti del governo pakistano.

Inoltre la forte vena nazionalista indiana è un fattore di ulteriore divisione tra i due Stati sulla questione Kashmir, infatti il capo del governo indiano Narendra Modi, nel 2019, ha abolito quella parte della costituzione indiana che garantiva l’autonomia al territorio o provincia del Jammu e Kashmir, il cui capoluogo è stagionale: Srinagar d’estate, Jammu in inverno. Una scelta nazionalista mirata ad una integrazione completa del Kashmir nell’India. Dall’inizio di aprile 2025 l’area è stata teatro di molteplici violazioni del cessate il fuoco, con tentativi di infiltrazione da parte delle forze pakistane lungo la linea di controllo, soprattutto nelle zone di Krishna Ghati e Poonch. Azioni contrastate dalle forze indiane che hanno sventando numerosi tentativi terroristici dinamitardi.

Quindi le premesse per un nuovo conflitto? Risulta che le attività aeronautiche militari pakistane siano in netta crescita nella zona di controllo nel Jammu e Kashmir; attività militari che segnano una escalation più concreta. E l’attacco di Pahalgam rischia di innescare un nuovo scontro militare tra India e Pakistan. Ma essendo entrambi gli Stati dotati della bomba nucleare è certo che almeno questa arma bellica non sarà utilizzata; nonostante il ruolo di improbabile mediatore offerto dall’Iran, già nel mirino di Israele e Stati Uniti.


di Fabio Marco Fabbri