martedì 6 maggio 2025
Il centro dell’attività terroristica e delle morti violente a livello mondiale non è più il Medio Oriente. Secondo l’autorevole Global Terrorism Index, “la regione africana del Sahel è ora l’epicentro del terrorismo globale”, che è responsabile di “oltre la metà di tutte le morti per terrorismo” a livello mondiale.
Il Sahel subsahariano è in gran parte sconosciuto al resto del mondo. Può essere descritto come una grande striscia di terra, prevalentemente pianeggiante, larga quasi 960 chilometri, situata tra le savane del Sudan a sud e il deserto del Sahara a nord.
Negli ultimi dieci anni circa, secondo il Royal United Services Institute, il più antico think tank al mondo in materia di difesa e sicurezza, con sede a Londra, il Sahel ha subito una “significativa impennata di violenza jihadista. Gli attori armati sfruttano confini porosi, Stati fragili e tensioni locali per estendere la loro portata operativa”.
Il Global Terrorism Index 2025, pubblicato dall’Institute for Economics & Peace, rivela che il principale istigatore del terrorismo globale nel 2024 è stato l’Isis (lo Stato islamico), insieme ai gruppi ad esso associati, come al-Qaeda, Jamaat Nusrat Al-Islam wal Muslimeen, Tehrik-e-Taliban Pakistan e al-Shabaab, responsabili complessivamente della morte di oltre 7.500 persone.
Sebbene l’Occidente stia vivendo un’escalation del terrorismo in Paesi come Svezia, Australia, Finlandia, Paesi Bassi, Danimarca, Germania e Svizzera, la regione del Sahel rimane evidentemente “l’epicentro globale del terrorismo, responsabile di oltre la metà di tutte le morti per terrorismo nel 2024”. Qui, per la prima volta, le vittime dei conflitti hanno superato quota 25 mila, di cui quasi 4 mila direttamente legate al terrorismo.
Un fattore preoccupante è che in Europa “una persona su cinque arrestata per terrorismo è qualificata giuridicamente come minore”. Ciò è comprensibile, poiché i bambini nelle comunità islamiste jihadiste sono esposti fin dalla più tenera età all’odio per gli ebrei e al desiderio di istituire un califfato islamista. Le stesse statistiche si applicherebbero agli attori terroristici nel Sahel, poiché l’ideologia del martirio e del sacrificio è onnipresente nel jihadismo.
Tra i Paesi vulnerabili della regione figurano Senegal, Sudan, Niger, Burkina Faso e Mali. Non sorprende che anche le ricche risorse minerarie della regione, con il Niger che è il settimo produttore mondiale di uranio, attirino l’attenzione. Cina e Russia sono sempre più rappresentate, mentre le nazioni occidentali si stanno ritirando dall’Africa a causa delle crescenti posizioni anti-occidentali. In particolare, la base aerea statunitense in Niger è stata chiusa nell’agosto 2024 e la base militare francese in Ciad nel dicembre scorso.
La conseguenza è, ovviamente, che con la ritirata dell’Occidente, l’Isis ha carta bianca per attuare la sua visione di influenza globale. Attualmente il gruppo è presente in 22 Paesi e, come sottolinea il rapporto: “Nonostante l’impegno nella lotta contro il terrorismo, la capacità del gruppo di coordinare, ispirare e compiere attacchi evidenzia la sua resilienza e le sue strategie operative in continua evoluzione”. Nella remota regione del Sahel, l’Isis trova un ambiente favorevole per consolidarsi e stabilire una base centrale.
La milizia mercenaria russa Wagner, sebbene ribattezzata “Corpo di spedizione”, continua le sue attività predatorie nella zona, offrendo ai “governi africani un ‘pacchetto di sopravvivenza del regime’ in cambio dell’accesso a risorse naturali strategicamente importanti”.
Documenti russi ottenuti segretamente rivelano come il gruppo miri a “modificare le leggi sulle miniere nell’Africa occidentale, con l’ambizione di estromettere le aziende occidentali da un’area di importanza strategica”. Il risultato è un’accelerazione del sentimento anti-occidentale, che spinge gli Stati locali a cercare di estromettere interessi stranieri finora radicati.
Un report del 20 febbraio 2024 di Jack Watling, ricercatore senior per la guerra terrestre presso il Royal United Services Institute, spiega che “si tenne un incontro al Cremlino in cui si decise che le operazioni di Wagner in Africa sarebbero state sotto il diretto controllo dell’intelligence militare russa, il Gru’.
Watling conclude affermando: “Questo è lo Stato russo che esce dall’ombra nella sua politica africana”. L’obiettivo palese della Russia è quindi quello di “assumere il controllo di risorse cruciali” e di “perseguire aggressivamente l’espansione delle sue partnership in Africa, con l’intento esplicito di soppiantare le partnership occidentali”.
A differenza dell’Occidente, Mosca non è particolarmente interessata a contrastare gruppi terroristici come l’Isis, ma si concentra invece sui suoi obiettivi principali riguardanti le “risorse cruciali” e la sostituzione del “partenariato occidentale” nel Sahel. Con la ritirata delle forze antiterrorismo occidentali, l’Isis e i suoi affiliati hanno la libertà di espandere le loro attività, mentre la Russia si concentra sull’eliminazione dell’influenza occidentale. Il risultato è un vuoto di forze occidentali esperte che contrastano il terrorismo, una situazione in cui i gruppi jihadisti prosperano.
Fortunatamente, le nazioni nordafricane, come il Marocco e l’Algeria, sono consapevoli dei pericoli di un jihadismo incontrollato nel Sahel, che si estende fino ai loro confini meridionali. Per raggiungere i propri obiettivi, Rabat ha attuato l’Iniziativa atlantica del Marocco, che “mira a fornire ai Paesi del Sahel senza sbocco sul mare l’accesso a rotte commerciali marittime vitali attraverso l’infrastruttura portuale atlantica del Marocco. Il piano mira a promuovere l’integrazione economica regionale per ridurre la dipendenza da rotte di transito instabili, rafforzando al contempo i legami del Marocco con i suoi vicini meridionali per contrastare l’instabilità, il terrorismo e i traffici illeciti nella regione a lungo termine”.
Allo stesso modo, l’Algeria, con i suoi “confini comuni e i legami storici con il Mali, ha sempre svolto un ruolo fondamentale nella regione”.
Inoltre, alcuni Stati del Sahel si stanno assumendo la responsabilità di contrastare i jihadisti nel loro territorio. Di recente, un’alleanza di tre importanti nazioni del Sahel (Burkina Faso, Mali e Niger) ha “svelato i piani per una forza militare unificata di 5 mila soldati”.
“Ci si aspetta che ciascuno dei tre eserciti dell’Aes contribuisca con truppe, incaricate di condurre operazioni congiunte in aree di intensa attività jihadista. A loro avviso, stabilire un partenariato militare autosufficiente è il modo più affidabile per salvaguardare la sovranità.”
Questa decisione è scaturita dalla mancanza di forze occidentali disponibili per reprimere il jihadismo, una lacuna causata dal fatto che le nazioni del Sahel “hanno interrotto i legami militari e diplomatici di lunga data con gli alleati regionali, la Francia e altre potenze occidentali”. Nel 2024, i tre Stati del Sahel hanno concordato di “far fronte congiuntamente alle minacce alla sicurezza”.
Sebbene una forza congiunta di 5 mila soldati sia un buon punto di partenza, occorre notare che la regione in questione si estende per circa 6 milioni di chilometri quadrati, un’area molto vasta. Si prevede che Russia, Cina e Turchia, che già forniscono ”assistenza ed equipaggiamento militare bilaterale”, potrebbero collaborare in qualche misura con le forze del Sahel per contrastare il terrorismo.
Intanto, l’Isis e al-Qaeda, insieme ai loro affiliati, estendono ”una maggiore influenza sulle reti trans-sahariane che amplieranno la loro portata esterna e aumenteranno la minaccia di complotti esterni in Nord Africa e potenzialmente in Europa”.
Di conseguenza, il Sahel rimane prevalentemente il luogo degli attori non occidentali e degli Stati locali, che agiscono insieme per un vantaggio reciproco, compreso il possibile controllo del terrorismo. Resta da vedere se gli sforzi di queste parti, insieme a quelli di alcuni Paesi nordafricani, avranno o meno un grande impatto sulle attività del jihadismo nella regione. Attualmente, Russia, Cina e Turchia traggono notevoli benefici strategici, politici ed economici nella regione. L’Occidente brilla per la sua assenza.
(*) Tratto dal Gatestone Institute
(**) Traduzioni a cura di Angelita La Spada
di Nils A. Haug (*)