venerdì 13 giugno 2025
Donald Trump. Sempre lui: il megalomane, il dittatore, il cattivo, il pazzo, il bugiardo, il millantatore, il violento, lo spaccone. Per la saggia compagnia dei sinistri, mai che ne facesse una giusta. Come nel caso degli scontri in atto a Los Angeles, dove un gruppo di immigrati irregolari, spalleggiati dai sostenitori delle ideologie radicali sull’accoglienza illimitata, ha messo a ferro e fuoco la città. A fronte del sostanziale immobilismo delle autorità locali (Karen Bass, sindaca afroamericana di Los Angeles e Gavin Newsom, governatore cattolico illuminato della California), il presidente è intervenuto decidendo l’invio, prima, di reparti della Guardia nazionale e, dopo, di un contingente dei marines per difendere le sedi degli uffici federali. Per le anime belle della sinistra mondiale starebbe violando la Costituzione. Che patetica difesa dell’indifendibile! Tutto è cominciato quando agenti dell’Ice, l’agenzia federale statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione, hanno setacciato case private e luoghi di lavoro per individuare e arrestare immigranti clandestini. Una stretta che il presidente ha voluto imprimere all’azione di contrasto di un fenomeno che non si è inventato lui ma che rappresenta da anni un problema reale per la maggioranza dei cittadini americani. Ma per i “buoni” progressisti sarebbe un atto infame e obbrobrioso cacciare con la forza chi, per la legge, negli Usa non ci dovrebbe stare.
Questa è la narrazione dei liberal e c’è, in Europa più che negli Usa, una massa di allocchi che ci cascano, che la prendono per vera, che si commuovono e lacrimano per la cattiva sorte toccata a quei “poveri innocenti” la cui sola colpa – che nel loro orizzonte ideologico colpa non è – sarebbe stata di compiere un “piccolo” reato, di ingresso illegale negli Stati Uniti d’America. Peccato che pur sempre di reato penale trattasi, in base al Titolo 8 del Codice degli Stati Uniti 1325, che punisce: 1) l’ingresso improprio negli Stati Uniti da parte di uno straniero; 2) il contrarre matrimonio allo scopo di eludere le leggi sull’immigrazione; 3) l’avviare un’impresa commerciale allo scopo di eludere le leggi sull’immigrazione. È un presupposto fondamentale da cui partire se si vuole tentare un discorso serio su ciò che sta accadendo negli Usa. Entrare e stare illegalmente lì è reato penale, bisogna ficcarselo bene in testa. Ma quanti sono gli irregolari negli Usa? Le stime giornalistiche parlano di 11 milioni di clandestini. Il picco dell’afflusso illegale si è registrato nel 2022 con 2,38 milioni di persone che sono entrate clandestinamente negli Usa, provenienti principalmente da Venezuela, Cuba e Nicaragua e transitati dalla frontiera con il Messico quando non da quella marittima. Numeri che hanno spaventato gli americani e fenomeno sociale in crescita esponenziale dopo la pandemia. Già il presidente democratico Joe Biden ha dovuto fare una brusca inversione di marcia sulle sue lasche politiche dell’accoglienza, ordinando fra ottobre 2023 e settembre 2024, l’espulsione dal territorio statunitense di 270mila stranieri entrati illegalmente (fonte: Report dell’Immigration and Custom Enforcement). Donald Trump non fa che proseguire, con metodi più spicchi e mediaticamente più impattanti, una strategia di ristabilimento della sicurezza alle frontiere che è una priorità per restituire tranquillità e fiducia alle famiglie americane.
Siamo al nodo della questione. I progressisti europei non accettano che una maggioranza all’interno di una comunità nazionale possa volere chiudere la porta a chi non ha diritto a entrare. Per i “buoni”, non si tratterebbe di libero esercizio della volontà popolare ma di una pulsione reazionaria che non deve trovare cittadinanza in un contesto di società a libertà vigilate e passate al vaglio delle élite sagge che sanno sempre cosa sia meglio per le masse. Ha ragione Emmanuel Todd: in un tempo di oligarchie liberali, quali sono diventate le democrazie occidentali, dare seguito alla volontà della maggioranza dei cittadini è espressione plastica di “democratura”, di torsione autoritaria della democrazia. Si obietterà: gli immigrati svolgono lavori che gli autoctoni non vogliono fare più. Si tratta di una leggenda che ha fatto il suo tempo. Può essere vero che negli Stati Uniti, in passato, una quota di immigrazione illegale sia stata tollerata perché funzionale agli interessi del mondo delle imprese e alla loro domanda di manodopera di basso profilo e a costo irrisorio. Oggi però le cose sono cambiate. Ed è per questa ragione che c’è Trump alla Casa Bianca e non un esponente liberal proveniente dalla buona borghesia delle élite di potere. Gli Usa non sono la prima potenza manifatturiera al mondo. Gli immigrati non servono perché non c’è più una domanda dal mercato del lavoro da soddisfare.
La globalizzazione ha assestato il colpo di grazia all’attitudine produttiva statunitense. Per intenderci: nel 1928, la produzione industriale americana rappresentava il 44,8 per cento di quella mondiale; nel 2019 è scesa al 16,8 per cento, mentre la Cina, nel 2020, ha toccato il 28,7 per cento. La crisi occupazionale si è abbattuta a cascata sulla sfera sociale determinando quell’effetto, una volta sconosciuto all’economia americana, di emarginazione del proletariato bianco a livelli pari se non più marcati di quelli che hanno storicamente interessato le minoranze etniche. Suggeriamo di leggere il libro autobiografico del vicepresidente Usa, J.D. Vance Elegia americana per capire qualcosa in più di un universo “bianco” che solo tangenzialmente incrocia il mondo borghese delle democrazie mature del Vecchio continente. Siamo al gatto che si morde la coda: un’economia che non produce beni quanto e come dovrebbe; che ha fatto del dollaro la sua risorsa primaria e che fabbrica valuta con più facilità che produrre beni materiali; che acquista da altri più di ciò che produce, è destinata ad andare in crisi con il sistema di welfare. E quando non puoi aiutare tutti, devi pensare ai tuoi mentre gli altri devono andare via. È ciò che fa Trump, lo hanno eletto per questo: si chiama lavoro sporco. Costringere chi non vuole sloggiare a togliere le tende, con le buone o con le cattive. Ma la rancida melassa progressista intona allo sfinimento le sue insopportabili litanie. Trump, che avrebbe tradito lo spirito della società aperta statunitense, patria delle opportunità per tutti, del melting pot interrazziale.
Ma smettetela di raccontare balle! La società americana ha accolto fin quando ha avuto necessità di manodopera per la propria economia. Ma ha sempre saputo tenere ben distinte le posizioni tra governanti e governati, secondo schemi sociali, gerarchie di classe e paradigmi esistenziali che hanno magnificamente scolpito la società dell’ineguaglianza. Saranno pure approdati da tutte le parti del mondo i costruttori degli Stati Uniti d’America, ma la verticale del potere non è mai cambiata, se non in forme impercettibili. L’élite, il ceto dominante, è sempre stato “wasp”, cioè appannaggio della comunità bianca dei discendenti degli immigrati anglosassoni, di religione protestante. Per vedere un cattolico alla Casa Bianca si è dovuto attendere il 1960, con John Fitzgerald Kennedy. E fu per l’epoca un evento eccezionale. Per non parlare di un nero: Barack Obama 44° presidente nel 2008, la prima volta. La comunità italo-americana? Influente, apprezzata, è vero. Eppure, ha fatto prima la Chiesa di Roma a darsi un Papa americano dell’Illinois che l’America a mandare alla Casa Bianca un “nipote” d’Italia. Per non dire di ebrei, latinoamericani e, in generale ispanici, di indiani autoctoni e di quelli venuti dall’Asia.
Di orientali. I bianchi stanno gradualmente perdendo terreno in casa loro e perciò devono porvi rimedio. A cominciare dalle fasce basse del corpo sociale, dove l’immigrazione illegale genera una criminalità diffusa, la quale prende principalmente di mira quel ceto medio oggi particolarmente indebolito dalla crisi economica. Nelle tre più prestigiose istituzioni universitarie, un tempo santuari del potere bianco – Harward, Yale, Princeton – in cui gli studenti bianchi rappresentano il 46 per cento del complesso studentesco a fronte di un 54 per cento che copre tutte le altre etnie, la soluzione trumpiana gradita alla maggioranza dei cittadini è di chiudere le porte agli stranieri e di non fare più regali a nessuno, alta formazione compresa. È un loro diritto discriminare. Non lo è quello dei progressisti sparsi per il mondo di piagnucolare come servette spaventate per le scene di violenza viste in tivù. Per inciso: a picchiare, a scatenare la rissa, a bruciare la bandiera a stelle e strisce, a incendiare gli autoveicoli, a prendere d’assalto i negozi, a spaccare vetrine, a rubare, non erano i poliziotti o i marines ma quei “bravi ragazzi” dei clandestini che i “buoni” progressisti vorrebbero coccolare e tenere a caldo in casa, a patto però che non sia casa loro.
di Cristofaro Sola