Ucraina: la pace che verrà

mercoledì 30 aprile 2025


La sensazione è che con la storia del Bergoglio dei miracoli ci si sia montati un po’ troppo la testa. Ciò che è accaduto in Vaticano il giorno del funerale del papa – ci riferiamo all’incontro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky – ha poco a che fare con la taumaturgia e lo Spirito Santo e molto invece con il realismo della politica.

Il leader ucraino aveva bisogno di ricucire con il presidente Usa dopo l’increscioso siparietto nella stanza ovale, il giorno della sua visita alla Casa Bianca. Trump glielo ha concesso. Punto. Piantiamola con le fantasiose ricostruzioni dell’americano pazzoide che sarebbe rimasto folgorato sulla via romana della Conciliazione (nel senso dello stradario). Trump, sulla crisi russo-ucraina, e sulle modalità di uscita dal conflitto, non ha cambiato idea davanti alla bara di Begoglio: vuole chiuderlo al più presto a modo suo. E lo farà, checché ne pensino le anime belle del progressismo europeo. Ma togliamocelo dalla testa che vi sarà la pace giusta, nel senso che non si riuscirà a trovare un accordo complessivo con la Russia che vada oltre il congelamento a tempo indeterminato dello status quo consolidatosi sul campo di battaglia.

Tra Ucraina e Russia finirà alla coreana, cioè due Stati – Corea del Nord e Corea del Sud – che hanno cessato di farsi la guerra il 27 luglio 1953 avendola cominciata il 25 giugno 1950, ma non hanno mai sottoscritto un trattato di pace. Che sarebbe già tantissimo per come si sono messe le cose. E, soprattutto, per la demenziale follia dei nani europei i quali, abbacinati dall’illusione di sentirsi grandi per aver investito dal 2022, a sostegno dell’Ucraina, 44 miliardi di euro l’anno (pari allo 0,1 per cento del Pil continentale), avevano creduto – e ancora qualcuno tra loro lo pensa – di poter prolungare il conflitto a Est a tempo indeterminato, ovviamente a spese dello zio Sam. Se davvero l’Unione europea volesse sostituirsi agli Stati Uniti nella partita contro la Russia dovrebbe raddoppiare gli investimenti in sistemi d’arma per un importo di circa 82 miliardi di euro l’anno.

Dubitiamo fortemente che ne abbia la forza e, soprattutto, la volontà. E poi, con quale risultato? Dove verrebbe fissato il punto di caduta, visto che la teoria di rafforzare militarmente Kiev per darle pari dignità a un ipotetico quanto improbabile tavolo di pace con Mosca, è drammaticamente fallito?

Putin non si è spaventato alla minaccia europea. Al contrario, ha alzato l’asticella dello scontro, paventando la possibilità di giungere alle estreme conseguenze nell’escalation bellica. È stato un bluff, il suo? Può darsi. Ma il bello del bluff è nel togliere all’avversario la voglia di venire a “vedere le carte” che si hanno in mano. Rebus sic stantibus, non resta che farsi una ragione del fatto che Trump sia stato eletto anche per arrestare questa deriva suicida dell’Occidente.

Stampiamocelo in testa a lettere di fuoco: la Russia non la si sconfigge attraverso un conflitto tradizionale. Per avere la meglio occorre l’arma nucleare. Piccolo ma decisivo dettaglio: anche Mosca ha un arsenale atomico, per di più il maggiore al mondo. Quindi, che si fa? Si rischia la distruzione del genere umano o si negozia un’intesa per una coesistenza pacifica?

Sarà pure un ritorno al passato, una roba che sa di anni Sessanta del Novecento, di Guerra fredda e di politica dei blocchi, ma funzionò allora e può funzionare oggi per evitare che il mondo salti in aria. Se proprio ci si tiene a raccontarla alla maniera del Lucio Dalla della sera dei miracoli, se prodigio c’è stato del defunto papa è quello di aver fatto rinsavire la gran parte dei leader europei e la presidente Ursula von der Leyen che non parlano più di integrità territoriale dell’Ucraina come condicio sine qua non per negoziare con Vladimir Putin.

Bisogna guardare in faccia alla realtà: la Russia si è presa un 22 per cento del territorio ucraino e non intende mollarlo per nessun motivo al mondo. Lo considera parte integrante di sé perché è abitato in maggioranza da popolazioni russofone le quali, nel recente passato, sono state vessate e combattute militarmente dai connazionali ucraini; perché nel Donbas è collocato il maggiore bacino carbonifero europeo. E perché la terra conquistata ha una enorme valenza strategica ai fini della sicurezza della Federazione Russa. Basta guardare una cartina geografica per capire che Putin non può tirarsi indietro dall’annessione, con le buone o con le cattive, delle aree occupate militarmente dopo che l’Ucraina ha scelto di non essere più uno Stato satellite della cintura di sicurezza a Ovest del gigante russo. Insieme alla Crimea, annessa nel 2014 senza sparare un colpo, la conquista del corridoio sud-orientale, che passa lungo la traiettoria delle città del Donbas Mariupol, Melitopol, e dell’oblast di Cherson, consente di fatto di chiudere l’accesso al mare d’Azov, trasformato in uno specchio d’acque interne alla Federazione.

Mosca ha pagato un prezzo di sangue altissimo per metterci le mani sopra e quale illuso può realisticamente pensare che vi rinunci? È già tanto se l’armata rossa abbia desistito dall’invadere l’oblast di Odessa, inibendo a Kiev l’accesso al Mar Nero. Ed è tanto che il resto del territorio ucraino possa rimanere sotto la giurisdizione del Governo di Kiev, di modo da potersi integrare, in un futuro non lontano, nell’Unione europea. Ci si accontenti. Ed è oltremodo inutile frignare invocando la violazione del diritto internazionale per l’attentato all’integrità territoriale di una nazione. Quando fa comodo, queste cose le si fanno e nessuno protesta tranne quelli che le subiscono. Forse qualcuno in Europa ha protestato quando all’Italia furono portate via la penisola istriana e la Dalmazia?

E, in tempi recenti, non ricordiamo particolare indignazione quando noi occidentali in coalizione abbiamo tolto il Kosovo alla Serbia. Ciò che propone Trump non sarà il massimo ma, come si dice dalle nostre parti: “piuttosto che niente, meglio piuttosto”. E sarebbe un “piuttosto”, ancora bello sostanzioso. Altrimenti, qual è l’alternativa? Se gli Stati Uniti si sfilano dalla partita, il rischio concreto è perdere tutto e ritrovarsi una Russia dal dente avvelenato col piede sul confine con la Romania, la Polonia, l’Ungheria e la Slovacchia.

A Bruxelles e nelle principali capitali europee si intona la stessa litania: se si cede in Ucraina, domani Putin vorrà prendersi altri Stati dell’ex Urss, oggi membri dell’Unione europea. È una balla, a cui nessuno sano di mente può credere. Non ci credono i nostri vertici militari, che di strategia bellica ne sanno più dei geni che guidano il Vecchio continente.

Il ragionamento è semplice: se Mosca ha fatto uno sforzo immane per prendersi un pezzetto d’Ucraina in tre anni di guerra ‒ con un gigantesco dispendio di uomini e mezzi, al punto che ha avuto bisogno di schierare sul campo le truppe inviatele dalla Corea del Nord ‒ e per farlo si è finanziariamente dissanguata, come potrebbe lanciarsi in un’avventura che la porterebbe a schiantarsi contro il muro della Nato? Repetita iuvant: non ci sarà nessuna pace, né giusta né duratura. Ciò a cui assisteremo sarà l’inverarsi dell’arte del possibile, cioè un congelamento definitivo degli equilibri fissati sul campo di battaglia. Che, se vogliamo, è un modo diversamente praticabile di raggiungere una forma di pacificazione facendo tacere le armi. Questo è l’obiettivo di Donald Trump, e questo è ciò che accadrà. Facciamocene una ragione. E, soprattutto, se la facciano Bruxelles e Parigi.


di Cristofaro Sola