martedì 18 maggio 2021
Sappiamo ora che, per il Tribunale di Palermo, Matteo Salvini è meritevole di essere giudicato per il reato di sequestro di persona, per aver da ministro impedito lo sbarco ai migranti della Open Arms; e che invece, per il Tribunale di Catania, Salvini non merita neppure di essere rinviato a giudizio per il reato di sequestro di persona, per aver da ministro, impedito lo sbarco ai migranti della Gregoretti. Un esempio a suo modo molto significativo dell’eclisse del principio di non contraddizione, in forza del quale, come è noto fin dalla logica aristotelica, se una cosa è vera non può essere nello stesso tempo falsa e viceversa.
Invece, i due Tribunali ci hanno insegnato che Aristotele è una specie di relitto del passato, perché Salvini può essere – per il medesimo fatto e per la medesima accusa – prosciolto e insieme rinviato a giudizio da due uffici giudiziari che si trovano a meno di duecento chilometri di distanza l’uno dall’altro. Normale? Per certi aspetti sì, per altri no. È normale perché il nostro sistema giudiziario è improntato al principio di capillarità, in forza del quale ogni giudice – dalla Cassazione al più sperduto ufficio giudiziario – può decidere secondo il proprio libero convincimento e perciò può accadere – e di fatto accade – che due diversi giudici decidano in modo opposto la stessa questione.
Spetta poi alla Cassazione uniformare le interpretazioni divergenti, svolgendo la sua funzione che viene aulicamente chiamata “nomofilattica”, cioè di “custodia delle norme”. Tuttavia, siccome le sentenze sono immediatamente esecutive, quando si arriva in Cassazione, son passati anni e perciò è troppo tardi per rimediare agli effetti che già sono stati prodotti in forza delle sentenze dei gradi inferiori di giudizio. Fatta questa necessaria premessa, va però aggiunto che a volte le divergenze sono troppo numerose e troppo gravi per poter rientrare nella fisiologia del sistema, al punto da compromettere la certezza del diritto, valore primario di ogni convivenza civile.
Tutti sanno infatti che in Italia nessuno può prevedere con un grado di sufficiente probabilità l’esito di un giudizio, proprio perché scarso è il livello di certezza giuridica dei rapporti. Per questo motivo, l’eminente giurista Gustav Radbruch affermava che i veri eredi del diritto romano non siamo noi, ma sono gli inglesi che lo hanno appunto ereditato attraverso il vincolo del “precedente”, principio tipico della “common law”, la quale consente una miglior prevedibilità delle decisioni dei giudici.
Tutto questo bel discorso, tuttavia, va integrato con una considerazione di carattere non giuridico, ma politico. Infatti, risulta difficile dimenticare quanto Luca Palamara dicesse al suo collega nel corso di uno scambio di messaggi intercettati a proposito di Salvini. Di fronte al suo collega procuratore che affermava l’assurdità dell’accusa mossa a Salvini per sequestro di persona, Palamara gli dava ragione, ma aggiungendo che comunque bisognava in quel momento storico-politico andare contro il leader leghista per motivazioni extra-giuridiche. Ecco, dunque, una cocente rivelazione che va presa molto sul serio e di cui va tenuto conto.
Rimane fermo, comunque, un dato incontrovertibile: che cioè non vi è alcuna traccia di sequestro di persona nel comportamento di Salvini. Prova ne sia che se i migranti, imbarcati su altro vascello, fossero salpati per esempio per Malta, nessuno li avrebbe trattenuti. E, anzi, Salvini avrebbe acceso un cero votivo di ringraziamento per Sant’Agata, Patrona di Catania o per Santa Rosalia, Patrona di Palermo. Inoltre, mi pare stucchevole chiedersi, come è stato fatto, se quello di Salvini fu atto politico – come tale sottratto alla giurisdizione – oppure atto amministrativo, come tale sindacabile dai giudici. Si tratta, infatti, di un atto di indirizzo politico adottato dal Governo intero al quale è poi seguito un atto amministrativo in esecuzione del precedente. Poco ma sicuro.
di Vincenzo Vitale