venerdì 19 settembre 2025
Con la riforma che ha abbattuto i vincoli sui canoni, il Paese ha visto esplodere l’offerta e calare i prezzi: la prova concreta che i controlli statali generano scarsità, mentre la libertà crea opportunità.
A Buenos Aires si è prodotta una rivoluzione silenziosa ma dirompente. Con il decreto 70/2023, entrato in vigore il 29 dicembre 2023, il governo di Javier Milei ha cancellato la vecchia legge sugli affitti che imponeva durate minime, aumenti indicizzati e divieti di contratti in valuta estera. Apparentemente norme protettive per gli inquilini, in realtà un insieme di vincoli che aveva ridotto drasticamente l’offerta e spinto i prezzi verso l’alto. Una volta eliminati, il mercato ha reagito con la forza che solo la libertà sa liberare, rimettendo in circolo capitale, fiducia e progettualità.
In proposito, i dati sono inequivocabili. Secondo Reporte Inmobiliario, a dicembre 2023 erano presenti appena 551 annunci di locazione a Buenos Aires; un anno dopo, nello stesso mese del 2024, erano saliti a oltre 7.000. L’aumento, ripreso anche da Ámbito, ha dimostrato la portata del cambiamento: un incremento superiore all’88 per cento che equivale a un mercato completamente rivitalizzato. Non meno significativi i numeri sull’andamento dei prezzi. Chequeado, utilizzando le serie dell’ente statistico cittadino, ha calcolato che i canoni dei bilocali sono diminuiti di circa il 30 per cento in termini reali tra dicembre 2023 e marzo 2025. Anche Libre Mercado, a metà settembre 2025, ha sintetizzato gli effetti immediati: offerta +88 per cento e prezzi in calo fino al 29 per cento. Infine, uno studio indipendente dell’Iza pubblicato nei primi giorni di settembre 2025 ha confermato con metodo causale che, subito dopo la riforma, l’offerta si è riattivata e i canoni hanno iniziato a scendere. Non propaganda, dunque, ma convergenza di osservazioni da più fonti autorevoli.
Il meccanismo che spiega questi risultati è semplice e intuitivo. Quando lo Stato impone vincoli rigidi – canoni bloccati, durate obbligatorie, divieti artificiali e persino una tassazione patrimoniale penalizzante – i proprietari reagiscono ritirando gli immobili dal mercato o ricorrendo a soluzioni opache, con la conseguenza che l’offerta si restringe e i prezzi aumentano. Al contrario, se i contratti sono liberi, la proprietà è rispettata e le regole sono chiare, gli appartamenti tornano disponibili, gli investitori hanno fiducia e gli inquilini possono scegliere fra più opzioni a condizioni migliori. È la legge naturale della domanda e dell’offerta, quel principio fondamentale che ha guidato i mercati fin dall’antichità: nessun legislatore può sospenderlo senza produrre danni.
A fronte di ciò, l’Europa continua imperterrita la sua marcia dirigista, inseguendo l’illusione opposta: tetti ai canoni, strette sugli affitti brevi, gabbie fiscali. Tutte misure presentate come tutela dei più deboli, ma che in pratica producono scarsità artificiale e selezioni al contrario. Nei regimi iper-regolati, chi mette sul mercato un immobile preferisce affidarlo al “conduttore ideale”, lasciando ai margini proprio chi avrebbe maggiore bisogno di opportunità. La liberalizzazione, invece, amplia le possibilità per tutti, soprattutto per chi dispone di risorse limitate, perché obbliga i proprietari a competere su qualità, prezzo e servizi. Non servono proclami: è sufficiente che le regole non distorcano gli incentivi naturali del mercato.
La lezione argentina non dice che lo Stato debba sparire, afferma soltanto che debba cambiare ruolo. Non fissare i prezzi dall’alto o imporre indici arbitrari, bensì garantire regole chiare e stabili; non sostituirsi alle parti nei contratti, ma difendere la proprietà e assicurare la certezza giuridica; non creare tariffe fittizie, permettere piuttosto che la concorrenza funzioni. È proprio questa cornice semplice e prevedibile che ha rimesso in moto il Paese sudamericano: libertà contrattuale, responsabilità individuale e strumenti sociali mirati — voucher all’affitto, garanzie selettive — capaci di aiutare chi è davvero in difficoltà senza deformare l’intero sistema. Il risultato è evidente: più case disponibili, prezzi più bassi, maggiore mobilità sociale.
Eppure, nonostante i fatti parlino da soli, c’è chi continua a temere che senza controlli vinca sempre il più forte. In realtà avviene l’opposto. Quando l’offerta cresce, è l’abbondanza stessa a disciplinare il mercato: gli alloggi si scelgono in base alle preferenze reali e non a barriere arbitrarie, la qualità migliora perché conviene investire, i contratti diventano più flessibili e le garanzie più varie, riducendo rischi e squilibri. La vera giustizia sociale non nasce dal fissare i prezzi con la legge, ma dal lasciare che la concorrenza moltiplichi le opportunità e renda accessibile ciò che prima era scarso. È per questo che la libertà aiuta soprattutto chi ha meno mezzi e meno potere contrattuale.
Chi governa in Europa dovrebbe guardare a questi risultati prima di invocare nuovi divieti. In Germania si proroga la Mietpreisbremse; in Spagna si discutono limiti nazionali; nel nostro Paese si immaginano strette contro gli affitti brevi o nuove imposte sul mattone. È un riflesso condizionato: quando qualcosa non funziona, invece di rimuovere gli ostacoli si aggiunge l’ennesimo vincolo. Ma l’esperienza argentina dimostra che il vero aiuto non nasce da più controlli, bensì da più libertà: togliere i lacci può generare più benessere di mille sussidi e ridare respiro al mercato immobiliare senza gravare sulla collettività.
Ed è proprio questa la lezione da trarre. La casa non migliora con decreti che promettono l’impossibile, ma con il rispetto della proprietà e della libertà di scambio. Lo dimostra l’esperienza argentina recente: ovunque si smettano di manipolare i prezzi e si rafforzi la certezza giuridica, l’offerta torna a crescere e i canoni si riducono. Per l’Italia la via è chiara: meno divieti e tassazioni punitive, più fiducia nelle persone, più spazio ai contratti, più tutela della proprietà, più certezza del diritto. La società sa fare la sua parte se il potere pubblico non pretende di occupare ogni spazio: è allora che l’abbondanza sostituisce la scarsità e la libertà smette di essere uno slogan per tornare a essere, semplicemente, la soluzione migliore per tutti.
In sintesi, la politica non distribuisca favori, protegga piuttosto libertà e proprietà, lasciando agli scambi volontari il compito di creare valore.
di Sandro Scoppa