Il momento straussiano: che vorrà mai Peter Thiel?

venerdì 7 novembre 2025


Presentato da una fascetta dell’editore Liberilibri come “l’eminenza grigia del nuovo potere americano”, Peter Thiel è l’autore di un libriccino intitolato Il momento straussiano, 112 paginette dalle quali è arduo estrarre il succo rivoluzionario che gli estimatori pretendono che esse distillino sulla nuova società trumpista degli Stati Uniti. Dico subito che trovo abissale la differenza tra la genialità imprenditoriale di Thiel, uno dei sette fratelli della Silicon Valley che dominano la Big Tech, e l’oscurità espositiva del suo sconclusionato pensiero politico. Sul risvolto di copertina del libro sta scritto: “Questo testo rappresenta la bussola perfetta per orientarsi nell’attuale, e futura, dimensione politica americana, oggetto misterioso e in apparenza impenetrabile per politologi, commentatori, analisti. Peter Thiel delinea qui la ragione filosofica della piena convergenza tra innovazione tecnologica e sicurezza”. Orbene, dopo essermi sforzato di leggerlo, ritengo che il libro somigli meno ad una bussola che a un brogliaccio; serva meno a tracciare una rotta che a prospettare un garbuglio. Se l’Autore presumeva davvero di svelare con un libriccino il mistero impenetrabile dell’attuale “dimensione politica americana”, beh poteva assoldare uno speechwriter o, meglio ancora, affidarsi all’Intelligenza artificiale che indubbiamente ha dimostrato di padroneggiare al massimo.

All’ottimistica presunzione di Thiel fa eco la prefazione di Andrea Venanzoni, che giudica il libro “un testo essenziale, fondamentale, e probabilmente la migliore lente possibile per comprendere il presente”. Alla supponenza dell’Autore sembra doversi dunque aggiungere l’esagerazione del prefatore, che, a causa della mia inintelligenza, non ha potuto schiarirmi le idee sulle complesse e innovative prospettazioni filosofiche di Peter Thiel.

Il libro è suddiviso in una premessa, secondo la quale il punto di svolta della storia contemporanea sarebbe, almeno per l’America e l’Occidente, l’attacco terroristico di Osama bin Laden alle Torri gemelle. Poi viene il capitolo “La questione della natura umana”, che l’Autore liquida accusando l’Illuminismo di aver intrapreso una ritirata strategica e così conclude: “La questione della natura umana è stata abbandonata perché è troppo pericolosa da discutere”. Conclusione talmente apodittica che viene da chiedergli, rispettosamente si capisce: “La questione della natura umana non è forse il porro unum del pensiero umano, il rovello della filosofia dalle origini all’oggi?”

Segue poi il capitolo “John Locke: il compromesso americano”, nel quale, sempre in modo ondivago, il nostro Thiel abbozza gli indubbi collegamenti tra i due trattati sul governo del filosofo inglese e la Costituzione americana, che in effetti i Padri costituenti intesero come razionalizzazione e completamento della “libertà britannica”. E tuttavia, anche alla fine di questo capitolo, la conclusione è sconcertante: “Oggi, la mera autoconservazione costringe tutti noi a guardare il mondo in modo nuovo, a pensare pensieri nuovi e strani, e quindi a risvegliarci da quel lunghissimo e proficuo periodo di torpore e amnesia intellettuale che viene chiamato in modo così fuorviante Illuminismo”. L’Illuminismo, dunque, sarebbe “un periodo di torpore e amnesia intellettuale” (sic!). Sutor, ne ultra crepidam, verrebbe da opporgli.

Viene poi il capitolo “Carl Schmitt: la persistenza del politico”. Che dice tutto, perché egli fu indubbiamente un forte pensatore ma alquanto nazista. Ciò nonostante, il perspicace Thiel ne dice questo: “Il giurista tedesco Carl Schmitt offre un’alternativa estrema a Locke e a tutti i pensatori dell’Illuminismo”. E tale giudizio costituisce forse una delle poche affermazioni incontestabili dell’intero libriccino.

Il capitolo “Leo Strauss: procedere con cautela” si fa apprezzare per il titolo, che però contraddice la sostanza del pensiero di Thiel, che lo ricapitola così: “L’Occidente moderno ha perso la fiducia in sé stesso. Nel periodo illuminista e post-illuminista, questa perdita di fede ha liberato enormi forze commerciali e creative. Allo stesso tempo, questa perdita ha reso l’Occidente vulnerabile. Esiste un modo di fortificare l’Occidente moderno senza distruggerlo del tutto, un modo per non buttar via il bambino con l’acqua sporca?” Thiel non vuol procedere con cautela. Tutt’altro. Ricorda con Strauss che proteggere e rendere efficiente la forma americana di governo richiede lo spionaggio: “La società più giusta non può vivere senza l’intelligence ma l’intelligence è impossibile senza la sospensione di alcune regole del diritto naturale”. Invece delle Nazioni unite, i cui dibattiti “assomigliano a favole shakespeariane raccontate da idioti”, Thiel afferma che “dovremmo considerare Echelon, il coordinamento segreto dei servizi di intelligence del mondo, come la strada decisiva per una pax americana veramente globale”.

A questo punto, non occorrono altre precisazioni. Peter Thiel guadagna miliardi di dollari vendendo i suoi prodotti di intelligence agli enti governativi dell’apparato militare industriale degli Stati Uniti. Il suo “Momento straussiano”, piuttosto che un libello sulla nuova dottrina tecnopolitica, che anzi appare molto vecchia a ben considerarla nella sostanza, imprime nell’apparente teorizzazione speculativa le stimmate prosaiche dell’orazione pro domo sua. Egli ci sta dicendo che il matrimonio tra il potere pervasivo del Big Tech e il potere corruttivo della politica s’ha da fare. Ma non per la salvezza dei valori dell’Illuminismo, del Costituzionalismo, del Liberalismo, bensì per andare incontro al destino del mondo post-moderno, mentre il mondo vivente “non è ancora finito e non è facile dire quanto durerà il crepuscolo dell’età moderna”.

Peter Thiel è un fenomeno antropologico niente affatto né nuovo né innovatore. Appartiene al novero degli uomini che, avendo raggiunto la preminenza nel campo loro proprio, sono indotti a supporre di poter esprimere una consimile preminenza anche nel campo della teoria politica. Egli è una persona intelligente che presume d’essere anche un intellettuale capace di prevedere gli sviluppi futuri della società. Sennonché la storia è piena di intellettuali stupidi che hanno abbracciato o teorizzato i peggiori sistemi, dimostrati rovinosi dalla storia. “Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe in modo assoluto” ammoniva Lord Acton, il più importante esponente del liberalismo cattolico. Incurante dell’ammonimento, Peter Thiel, stufo di quella libertà che gli ha consentito di diventare un Creso, intravede la salvezza nella concentrazione di due poteri che costituirebbe il super potere più oppressivo della storia.

(*) Peter Thiel, Il momento straussiano, Liberilibri, 112 pagine, 14 euro


di Pietro Di Muccio de Quattro