“Alpha”: adiacente a Omega

mercoledì 17 settembre 2025


Vi piace il body horror? Se sì, allora vi appassionerà il nuovo film di Julia Ducournau (che ha firmato in passato la regia di Raw, sul cannibalismo), in uscita nelle sale italiane il 18 settembre, dal titolo Alpha che, però, è tutt’uno con “Omega”, inizio e fine di qualcosa allo stesso tempo. Un vento rosso della follia e dell’incantesimo medusiano, che trasforma gli umani, esclusivamente maschi (sembrerebbe la vendetta divina per la loro misoginia latente), in corpi marmorei dalle mille venature michelangiolesche, approfondendo i tracciati come la punta di una china, per incidere scultoreamente muscoli, tendini, segmenti facciali e soma. Agghiacciante metafora del rigor mortis, con protagonista una bella e folle dottoressa immune da ogni contagio, che sfida il mondo e la sorte amministrando la cura a chiunque ne abbia bisogno, senza stare a guardare il ceto e il censo. Anzi, obbligando i bodyguard ad aprire le porte dell’ospedale per dare speranza a una folla di disperati, fatta dai contagiati e dai loro parenti che li accompagnano. Lei (una brava Golshifteh Farahani), madre dell’unica figlia tredicenne Alpha (Mélissa Boros), è la grande protagonista, che chiameremo eroina. Lei, il medico coraggioso e indomito di questa storia fantasy, di origini arabe, come il suo fratello Amin (un bravo ed espressivo Tahar Rahim), perduto nella tossicodipendenza e perenne aspirante suicida, inabissatosi fin da giovane nel mondo delle droghe pesanti. Ed è sua la scena ad alto potenziale redentivo-distruttivo, quando in stato di semi incoscienza, dopo aver assunto l’ennesima dose, guarda con occhi morenti Alpha bambina, aprendo il pugno chiuso e contratto, per donare alla piccola un minuscolo, indimenticabile dono.

E sarà proprio questo rincorrere e mordere a ogni costo la vita che vuole andarsene (quella di Amin) la vera storia dell’eroina, che ogni volta pratica alla disperata il massaggio cardiaco e le iniezioni di adrenalina vicine al cuore, sempre in presenza di un’Alpha disperata e terrorizzata, che vuole bene allo zio, ma intende assecondarne istintivamente il desiderio di uscire da un mondo senza più spazio, né tempo, né amore per lui. Alpha, che sfugge al controllo di una madre con troppe ombre pesanti a carico, che giacciono lungo le corsie congestionate di un ospedale per gravi malattie infettive, o sono attrici familiari di un gineceo rumoroso, che affabula e si dedica alla crapula compensativa e ruminante senza sosta, perché tutto intorno quelle loro case popolari, sbrindellate e cadenti delle periferie abbandonate da Dio, non c’è che il vento rosso di gente di ogni età che giace con la siringa accanto lungo le scale e i pianerottoli delle abitazioni. Lei e solo lei, che rimane a presidiare la fortezza assediata dal male e dal maligno, mentre Alpha fa esperienze da borderline, lasciandosi tatuare sotto i fumi della droga l’iniziale semidemoniaca del suo nome, costringendo poi sua madre a rincorse disperate per tirarla fuori dai guai. Tutto si cadenza ossessivamente ai ritmi dei fallimenti personali e della società tutta, in cui gli zombie stanno negli incubi dei sogni e della realtà quotidiana dell’eroina che, mentre cura disperata chi più ama, ha la netta visione profetica di praticare la demolizione del corpo marmorizzato del fratello, facendone letteralmente franare una parte del corpo di lui, come accade quando si sciolgono gli iceberg polari, con fontane di sangue marcio dal color ocra chiaro che escono da quelle immonde fenditure.

Così, anche se Alpha sembra immune dal misterioso contagio, il fidanzatino e le sue compagne di scuola la trattano lo stesso da lebbrosa, facendole sentire tutto il peso del loro implacabile, giovanile disprezzo. Decournau descrive a meraviglia lo stato di fatiscenza di tutte queste vite sprecate, dove nessuno spiega (né a loro, né tantomeno allo smarrito spettatore) che cosa realmente stia succedendo, in modo che il mistero sia il più fitto e impenetrabile possibile. Il disordine delle case, dei letti diventati giacigli, di cose e oggetti sparsi in totale disordine nelle stanze abitate, in cui nessuna mano caritatevole riordina e rassetta, sono come la sinfonia distopica che accompagna l’intera colonna sonora del film, fatta di suoni allucinati, percutenti e prolungati. Procurando così un reale fastidio uditivo, un acufene perenne che dà un non-ritmo alle vite sgangherate dei protagonisti, e soprattutto di Alpha. Lei, bimba, e poi adolescente, trascinata a forza in un tremendo legame simbolicamente incestuoso tra madre e zio, dove l’una, identificandosi in lui, non vuole perdere il suo doppio esistenziale, che il vento rosso trasformerà, infine, in polvere di sabbia, come è giusto che sia.


di Maurizio Bonanni