martedì 6 maggio 2025
Chi vola sugli slums? A farlo, nel film Bird (in uscita l’8 maggio nelle sale italiane) della regista Andrea Arnold, sono in realtà due protagonisti di altrettanti regni alieni, uno appartenente al dominio inanimato del digitale, come il drone, l’altro, di natura fantasmatica, che dà origine a un mitico Icaro, Bird (Franz Rogowski), che calza sandali francescani, ballando con indosso un gonnellino da bambina nei campi scossi da premonitrici correnti d’aria. Entrambi, l’inanimato e la creatura ibrida, appaiono spinti da un inarrestabile vento antropofago, che si nutre delle sensazioni forti, come quelle che emanano da un’adolescenza e da una paternità precoci, naufraghi urbani in una sorta di discarica della Storia. Lì, in quei luoghi sconsacrati, dove Dio non entra per non sporcarsi le mani, esistono esempi diffusi di madri che generano figli di padri diversi, tormentate da nuovi compagni violenti, e padri ragazzini come Bug (Barry Keoghan), che amano i propri figli ma li lasciano in balia di se stessi, nel degrado e nell’anarchia di un vissuto privo di regole. Così il film Bird narra la loro storia tra degrado e disagio giovanile, in cui i protagonisti sono gli squatter di una realtà sgradevole della provincia inglese, dove la vita stessa è una sostanza psicotropa, come gli umori di un rospo di cui però, in quella visione alterata della realtà, nessuno sembra voler riconoscere le orride sembianze. La protagonista è la piccola Bailey (una superlativa Nykiya Adams) di soli 12 anni, preadolescente di colore, che vive con il Padre Bug, puro inglese di razza bianca, e con il fratello 14enne Hunter (Jason Buda), anche lui figlio di un’altra donna e uguale a suo padre per il colore quasi trasparente della pelle.
Bailey vive anche lei in uno stato semi-brado, perennemente all’ascolto della sua musica hard-rock attraverso le cuffie, e si occupa con regolarità, avendo una madre naturale sbandata, dei tre fratellastri più piccoli, due femminucce e un maschietto più grandicello, proteggendoli per quanto possibile dalla furia e dalle violenze del compagno di turno, con lei che insiste nel suo ruolo materno e approssimativo, non volendo rinunciare a tenere i suoi figli tutti con sé, malgrado l’evidente indigenza. L’ambiente degradato di bambini, giovanissimi e giovani adulti è perfettamente descritto nelle impietose inquadrature interne degli ambienti domestici fatiscenti in cui vivono; con le cose lasciate in assoluto disordine all’interno, compresi gli androni delle scale dipinti di graffiti demenziali, tracciati con ogni probabilità sotto l’effetto di sostanze allucinogene. Nessuno che dall’esterno controlli la frequenza scolastica dei più piccoli e la faccia rispettare, nel vuoto più totale di presenze istituzionali nel campo dell’assistenza sociale, mentre la scoperta del sesso tra i più giovani avviene in età sempre più precoci. Per cui perfino a 14 anni si può avere una coppia consolidata come quella di Hunter, spiantato nella vita come suo padre, che mette incinta la sua ragazza e pretenderebbe di tenere il bambino, in assoluto contrasto con la famiglia di lei, terrorizzata da questa unione ingestibile.
Tutte le atmosfere di gruppo sono immerse in una colonna sonora in cui prevale un sound compulsivo e fullnoise, creato da una musica che, per i suoi effetti stessi di riempitivo ad alto volume, onnipresente e totalizzante, costituisce un vero e proprio principio attivo dopante, di cui nessuno dei giovani squatter riesce a fare a meno lungo l’arco dell’intera giornata, assieme al fumo. Qui, da tutto il contesto, è bandito il valore-lavoro, dal che si intuisce come, in qualche modo, tutti i protagonisti vivano di assistenza pubblica e di espedienti, praticando piccoli traffici illegali. Tutti, probabilmente, provvedono da soli alla propria sicurezza, visto che la polizia non mette mai piede in quella realtà fuori misura in cui, tutto sommato, non c’è più nulla da recuperare. Così, per porre un freno “autoctono” alla violenza domestica e sulle donne, Hunter e la sua banda (dalla quale viene sistematicamente esclusa con suo grande dispiacere la piccola Bailey) si organizzano in spedizioni punitive, riducendo a mal partito, con azioni di commandos mordi e fuggi, i loro obiettivi designati. Come si esce da tutto questo contesto di non-vita, di vissuto negato passato all’interno di una atipicità di condotte esistenziali che, viste dall’interno, sono percepite come perfettamente “normali”?
In questo doloroso mosaico, un adolescente appena sbocciato ha dalla sua un’arma formidabile: la fantasia. Che cosa rimane, del resto, a Bailey, oppressa oltre ogni dire dalla cretineria violenta di suo padre, che la vuole tra le damigelle d’onore, vestita di una tutina ridicola, per un suo improbabile matrimonio con un’altra sbandata senza fissa dimora, che ha già un’altra figlia piccolissima da un altro uomo? La risorsa vitale la ragazzina la trova nella sua inesauribile immaginazione, che la fa parlare con gli uccelli e, quindi, con il suo alfiere devoto Bird, l’Uomo-uccello per antonomasia. Lui che se ne sta tutto il santo giorno appollaiato sulle terrazze degli edifici del quartiere, a scrutare in basso la vita brulicante e disordinata sottostante, con il sogno segreto di ritrovare un giorno i suoi genitori, dai quali si è definitivamente separato da bambino, smarrendosi nei dintorni della città. E sarà proprio questa la missione di Bailey: aiutare l’amico alato a ritrovare la sua famiglia di origine, anche qui con mille difficoltà e affrontando il disconoscimento di paternità da parte di chi lo credeva morto. Film difficile, che ha in sé una bellezza tutta particolare, da assaporare in segreto metabolizzando lentamente il suo retrogusto perfettamente amaro.
Voto: 7,5/10
di Maurizio Bonanni